Non sono molte le figure professionali capaci di incarnare il concetto di #coraggio nelle sue sfumature più nobili e coerenti. Tra queste, Aristide Artusio è sicuramente un portavoce rappresentativo.
Nato come agente di commercio, Artusio inizia a lavorare per marchi del calibro di Farmitalia, Montefarmaco, Miroglio e Brummel. Nel 2001 acquista Witt Italia Group, azienda leader nel settore della detergenza, per poi acquisire sei anni dopo Erboristeria Magentina e creare nel 2012 il brand Armonie di Bellezza, a corredo di un’instancabile ricerca di nuove sfide, stimoli e occasioni.
Se Artusio fosse un marchio, il suo payoff potrebbe essere il celebre motto “volere è potere”. Perché l’imprenditore di Alba, artigiano della natura come titola il suo libro più recente, si è sempre messo in gioco, senza mai adagiarsi. Ecco perché in questo nuovo numero di Cretail, dedicato a persone di successo, non poteva mancare un approfondimento della sua storia attraverso le sue stesse parole.
L’intervista
Qual è la sua definizione personale di coraggio?
Io ho sempre associato il coraggio alla voglia di fare. E questo è possibile solo se hai ben chiari gli obiettivi che intendi realizzare di volta in volta. Definire fin da subito ciò che si vuole perseguire è la chiave per trovare la voglia di mettersi in gioco e affrontare rischi, imprevisti e situazioni ignote. Vi faccio un esempio: quando avevo diciott’anni, mi sono iscritto a un corso di formazione per venditori organizzato dai commercianti di Alba. Alla domanda del relatore “Tu, Artusio, cosa vuoi fare da grande? risposi semplicemente: – Io voglio fare il lavoro che fa lei-.
Avere un obiettivo chiaro fin dalla giovane età mi ha permesso di trovare il coraggio per mettermi in gioco e realizzare i miei sogni.
C’è, nella tua esperienza lavorativa, un momento preciso in cui hai dovuto esprimere questa forma di coraggio?
Negli anni, i momenti difficili non sono mai mancati, ma se devo indicarne uno in particolare, è stato sicuramente quando mi sono trovato a dover lavorare come direttore commerciale per colleghi con cui non riuscivo più a comunicare. In quel momento ho capito che era arrivato il momento di mettermi di nuovo in gioco. Così decisi di avviare una mia attività. C’era un consulente con cui avevo lavorato quando ero alla Ulrich, che mi accennò a un’azienda attiva nel settore della cosmesi naturale e della detergenza ecologica, pioniera in Italia del direct marketing. L’azienda era in vendita e io pensai subito all’opportunità di comprarla. Il problema, però, è che il valore della possibile acquisizione era enorme. Non mi diedi per vinto. In quel momento mi venne subito in mente il direttore commerciale della Banca d’Alba, mio amico, nonché compagno di golf. Colsi l’occasione e fissai un appuntamento con lui per parlargli del mio progetto. Venivo da un decennio di lavoro per conto di una grossa azienda, in quella città tutti mi conoscevano e sapevano che si poteva fare affidamento sulla mia professionalità. “Dammi 48 ore di tempo Aristide, ne possiamo parlare”. Il mattino dopo, fu lui a chiamarmi e a dirmi “Aristide, vai avanti, hai la nostra piena fiducia”. Così, con quel denaro, ho potuto realizzare il mio sogno acquisendo Witt Italia. I risultati hanno cominciato a vedersi molto presto, con una crescita del fatturato doppia a partire dall’anno successivo. L’esperienza che ho avuto mi ha fatto capire una questione fondamentale: per fare l’imprenditore non è necessario avere il dono, o un bagaglio formativo più o meno articolato. È sufficiente lavorare e aver voglia di fare le cose, unire all’intraprendenza, passione e amore per il proprio lavoro. Se ti ci metti d’impegno raggiungi sempre un certo livello, tanto nel lavoro quanto nella vita in generale.
Come incoraggi i membri del tuo team a essere coraggiosi e ad abbracciare il cambiamento? C’è qualche trucco che puoi svelarci?
Il trucco è cercare di stimolarli e lasciarli fare, anche sbagliando. E quando sbagliano, cercare assieme di capire qual è l’errore. Se qualcuno sbaglia, non bisogna mai colpevolizzarlo. Al contrario, si deve dialogare per capire come rimediare e andare avanti. Il concetto che cerco sempre di instillare nel mio team è questo: bisogna dare spazio, così che tutti i membri del gruppo si rendano conto che possono agire e prendere decisioni in completa autonomia.
Quali sono le caratteristiche che un leader deve avere?
Io dico sempre che bisogna spronare a fare le cose senza necessariamente chiederlo. Ovvero, se vuoi che le persone ti seguano, devi essere tu per primo a dare il buon esempio, non basta dirlo. Devi farlo insieme al tuo team, devi essere partecipe. La tua presenza, in azienda, deve essere quella di un medium, di un faro che orienti i talenti al raggiungimento del traguardo ideale. Dire a qualcuno “Mettiti la cravatta” è il contrario del mio modo di interpretare l’autorevolezza di un vero leader. Mettiti tu la cravatta per primo, e vedrai che gli altri lo faranno a loro volta. Se non la mettono è perché non ti seguono, o non sono abbastanza attenti.
Sei sempre stato uno degli imprenditori più innovativi, amante del cambiamento e attento osservatore delle dinamiche di mercato. Cos’è che ti spinge ad avere questa attitudine a innovare?
Penso che una simile attitudine dipenda dal fatto che io non nasco come imprenditore, ma come venditore. Ed essendo nato venditore, ne ho ereditato la mentalità. Per me è sempre stato normale spingermi oltre, verso nuovi obiettivi, progetti e idee. Ho avuto il privilegio di frequentare una scuola di imprenditori eccezionale, che però mi ha spinto a pensare sin da subito a come evitare gli errori che spesso facevano, ovvero la tendenza di arenarsi su una stabilità che è il contrario di ciò che per me significa fare impresa. Formarmi in un ambiente di questo tipo mi ha spronato a innovare continuamente. Perché l’innovazione funzioni, bisogna dare spazio a talenti giovani, brillanti, capaci di pensare fuori dagli schemi. Sono loro che permettono all’azienda di evolversi e plasmarsi a seconda delle dinamiche di mercato. Noi dobbiamo adeguarci, dando loro fiducia.
Se dovessi disegnare il suo collaboratore ideale, come sarebbe?
Nel mio vocabolario il collaboratore ideale è sicuramente un professionista dotato di inventiva, uno a cui sia costretto a dire “no” per le troppe proposte, invece di essere io a dargli tanti stimoli. In altre parole, appartengono a questa categoria ragazzi giovani che abbiano una mentalità imprenditoriale. Non è facile. Vedo però con un senso di sollievo che le nuove generazioni si muovono su questa traiettoria. Dal canto mio, sono molto fortunato: i miei collaboratori sono eccezionali. Posso quindi contare su persone che si divertono a fare il loro lavoro, al punto da invogliarmi a dare il meglio per contribuire alla creazione di un clima davvero entusiasmante.
Questa intervista è un punto di partenza ottimale per riflettere su come il coraggio, inteso come voglia di mettersi in gioco e impegnarsi a fondo per raggiungere i propri obiettivi, sia la spinta ideale per creare innovazione e condurre a una crescita costante, tanto nel lavoro quanto in tutti gli ambiti della nostra vita quotidiana.
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