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Customer centricity nella GDO: intervista a Giorgio Santambrogio

Il commercio esiste solo quando c’è un cliente. Basterebbe questo per spiegare il concetto di customer centricity cioè delle strategie aziendali volte ad allineare la progettazione, lo sviluppo e la distribuzione di prodotti e servizi ai reali bisogni dei clienti, “centrati” appunto sul cliente.

Ma quali sono le sfide di oggi per far sentire davvero il cliente al centro? Quali le strategie vincenti in un settore come la GDO in cui velocità, frequenza, tipologia di servizio e metrature rendono complesso il focus sull’unicità del cliente?

Per comprendere la direzione da seguire, abbiamo intervistato il CEO di Gruppo VéGé  Dott. Giorgio Santambrogio, esperto ed appassionato dei processi di sviluppo nel mondo del retail alimentare e da più di 10 anni alla guida del primo Gruppo della Grande Distribuzione nato in Italia nel 1959, che attualmente riunisce 31 imprese, con competenze multicanali e multi-settore: dagli Ipermercati alle Superette, dai Cash & Carry all’Away From Home, dai punti di vendita specializzati all’E-Commerce e Q-Commerce. Con 3.409 punti di vendita dislocati in modo capillare su tutto il territorio nazionale si configura come uno dei più importanti network di vendita del nostro Paese.

Cosa vuol dire oggi mettere il cliente al centro e quali sono gli elementi nuovi da considerare rispetto al passato? 

La centralità del cliente è storia. Da quando si parla di retail e di commercio, la capacità di assecondare le istanze del cliente è centrale. Non c’è nulla di nuovo nel concetto, però come diceva Joseph Schumpeter “La vera innovazione è fare in modo nuovo le cose vecchie”.

L’innovazione consiste nell’avere a disposizione la tecnologia per sviluppare due ambiti in particolare: carpire le reali esigenze di quel cliente specifico e avere una comunicazione efficace e mirata. Un tempo, quando 26 anni fa mi occupavo di attività di CRM, avevo una conoscenza dei clienti solo per cluster e impiegavo circa 2 mesi per averne la profilazione e segmentazione. A questa attività seguiva una lunga campagna di invio buoni spesa che non sempre riuscivano ad individuare il reale desiderio del cliente per mancanza di informazioni specifiche. Quindi il dispendio di costo e tempo era enorme e l’efficacia molto limitata. Oggi la capacità di conoscere il comportamento del cliente tramite app (più efficaci rispetto alle tradizionali loyalty) è enorme: frequenza di acquisto, scontrino e basket si riescono ad analizzare in un nanosecondo, inoltre, immediatamente dopo e a costo zero è possibile contattare il cliente inviando messaggi tramite app, whatsapp e altri strumenti digitali. Quindi la grande differenza nella centricity del cliente è che oggi c’è un tempo quasi nullo tra la comprensione dei comportamenti e bisogni del cliente e l’assecondamento tramite messaggi digitali.

VéGé come favorisce e incoraggia questo tipo di approccio nei suoi associati?

VéGé aiuta i suoi associati nel definire obiettivi e procedure in questo nuovo mondo e li supporta nella scelta di partner che si occupano di queste tecnologie super innovative. Un lavoro consulenziale che li guida nelle nuove analisi dei Datalake attraverso l’AI (Un data lake è un repository centralizzato che permette di archiviare tutti i dati -strutturati e non- su qualsiasi scala. È possibile archiviare i dati così come sono, senza doverli prima strutturare, ed eseguire diversi tipi di analisi dei dati da pannelli di controllo e visualizzazioni all’elaborazione di Big Data, analisi dei dati in tempo reale e machine learning per prendere decisioni migliori. Fonte amazon web service), nella creazione di app, nell’ osservazione della customer journey per avere delle informazioni più veloci e puntuali.

In una recente intervista per Human&Green Retail Forum. ha parlato di umanità come fattore competitivo: può spiegarci cosa intende e come questo si può tradurre in azioni nel pdv?

VéGé è un istituto economico che ha la fortuna di avere 4,9 milioni di clienti che vengono a fare la spesa ogni settimana nei punti di vendita dei nostri soci; abbiamo quindi un contatto quotidiano con i clienti e questo ci consente di essere latori di messaggi commerciali, informativi, promozionali ma abbiamo anche il dovere di dare messaggi valoriali. Questo non vuol dire che noi deteniamo dei valori che vogliamo imporre, ma che possiamo essere messaggeri di contenuti valoriali verso i nostri clienti; ad esempio, l’educazione all’acquisto, al consumo consapevole, alla sostenibilità nutrizionale, a sprecare di meno, etc. Realizziamo moltissime attività di responsabilità sociale nei punti vendita. A livello nazionale attraverso due importanti progetti chiamati “Noi amiamo la scuola” e “Noi amiamo lo sport”, attraverso le quali le nostre imprese donano milioni di euro in attrezzature scolastiche e sportive rispettivamente a Scuole e Associazioni Sportive Dilettantistiche. E poi vi è tutto il tema dello spreco. Attraverso la legge n.166/16 “legge Gadda” contro lo spreco alimentare, cediamo gratuitamente le eccedenze a soggetti donatari e cerchiamo di comunicare che non solo noi ma anche il cliente stesso può introdurre delle pratiche responsabili, per esempio, minimizzando gli sprechi nella propria dispensa. Quindi umanità vuol dire introdurre dei concetti che esulino da messaggi meramente commerciali ma diano messaggi sull’ ottimizzazione del processo di acquisto (comprare meno ma meglio ad esempio).  Questo, secondo me, è ai prodromi del concetto di umanizzare.

Ci piace chiudere le interviste con una domanda un po’ più personale: lei come cliente quando sente davvero di essere stato posto al centro dell’esperienza di acquisto?

Sostanzialmente, quando sono riconosciuto. Secondo me è insito nell’essere umano una sensazione molto positiva quando si viene riconosciuti, in primis come persona e quindi anche come cliente e conseguentemente si istaura un rapporto personalizzato, non necessariamente migliore, ma indubbiamente più intimo.   Quando il personale di un punto di vendita riesce ad avere più tempo perché le innovazioni tecnologiche lo sollevano da determinate mansioni operative, può conseguentemente dedicarsi al cliente assecondando le sue sempre maggiori richieste di informazione. Queste maggiori richieste spesso afferiscono a spiegazioni di prodotti. La complessità assortimentale è infatti cresciuta moltissimo negli ultimi anni: pensiamo a termini come rich-in, free-from, bio, vegan, eu-organic, halal, kosher, etc. non esistevano, se non raramente, una ventina di anni fa.

E poi, l’essere riconosciuto rinforza il legame che un cliente crea con l’insegna e come conseguenza, aumenta quella che viene definita fedeltà cognitiva.

In sintesi, il processo “one to one” favorisce l’umanizzazione della spesa, tipica dei rapporti che esistevano alla nascita della Distribuzione Moderna, come abbiamo avuto modo di far vedere negli spot di Gruppo VéGé del ‘59 dove, nelle prime superette nate in Italia, vi era ancora il signor Luigi che entrava nel piccolo supermercato, veniva riconosciuto e gli si chiedeva “Vuole il solito?”

Se riuscissimo, in questa epoca sempre più digitale, a ricreare all’interno della Moderna Distribuzione queste dinamiche di personalizzazione, di umanizzazione, di intimità, beh, sarebbe una formidabile chiusura del cerchio.

Immagine realizzata dall’intelligenza artificiale ideogram.ai

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Riferimento nei progetti food e distribuzione moderna di Cavalieri Retail. Studiosa di trend di mercato e di innovazione nei processi retail. Da anni si occupa di progettazione e formazione in ambito aziendale.

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