E’ ormai conclamato il legame esistente tra marketing e psicologia e, in particolare, il contributo che quest’ultima apporta al mondo delle vendite. Non più due realtà considerate distanti o contrastanti, soprattutto non più una disciplina scientifica che tenta di fornire strumenti manipolatori all’altra, bensì un modello di interazione tra studi che, seppur da prospettive diverse, affrontano il medesimo tema partendo da un elemento comune: l’uomo.
Questo legame, creatosi già negli anni ’30 all’epoca della nascita del concetto stesso di marketing, si è andato via via consolidando nel tempo, fino a esprimere tutta la sua importanza negli ultimi decenni quando nuovi scenari e nuove #strategie di vendita hanno reso necessario un ulteriore approfondimento da parte delle aziende, su quali siano i meccanismi che determinano nel cliente una scelta d’acquisto e rendono possibile un avvicinamento al proprio brand. Pensiamo alla comparsa, nell’era del digitale, del c.d. Inbound Marketing, quella modalità di marketing incentrata sull’essere trovati in rete dai potenziali clienti, grazie a messaggi specificamente direzionati. Mai come in questo caso l’attenzione che la psicologia presta al soggetto con cui il fornitore interagisce si rivela indispensabile per creare contenuti di alta qualità, che consentano all’azienda di convogliare l’attenzione del cliente verso il proprio brand.
Ma come fare a creare contenuti che siano non solo condivisi dal cliente, ma percepiti come perfettamente corrispondenti ai propri bisogni?
La chiave per riuscire a realizzare quello che viene definito #Content Marketing è riuscire a realizzare una comunicazione del brand che porti valore al target di riferimento. Dagli studi di Damasio in poi (2005) è stato appurato che branding e fedeltà del cliente alla marca sono strettamente connessi alle emozioni provate durante il processo decisionale. In quegli stessi anni due studiosi americani, Chip e Dan Heath, coniarono un acronimo che indicava le sette proprietà di un brand vincente: SUCCESS, ovvero Simple (semplicità), Unexpected (imprevedibilità), Concrete (concretezza), Credible (credibilità), Emotion (emozione) e Stories (narrazione). Ecco quali processi si attivano in un consumatore nel suo impatto con il prodotto: quando la mente è esposta ad un brand per la prima volta, crea un ricordo di questa esposizione attraverso i collegamenti che fa tra i vari elementi (la pubblicità del brand, il prodotto che il brand offre, la shopping experience, ecc.).
Quando la mente viene nuovamente a contatto con il medesimo brand, recupera il ricordo precedentemente creato e al primo ne aggiunge di nuovi così che la rete di collegamenti già esistente si amplia ulteriormente. In questo modo, esattamente come variano le informazioni contenute nella mente, varia anche l’idea stessa del brand.
Ed è qui che la scienza dà il suo contributo.
Grazie al supporto delle Neuroscienze si è ora in grado di analizzare e di comprendere quale sia il processo di formazione della brand memory, un processo che avviene naturalmente nel cliente e di cui egli non è pienamente consapevole.
Il Neuromarketing si occupa infatti di spiegare come si sviluppi la brand memory, come la pubblicizzazione del brand la possa modificare, come riesca ad incidere sulle decisioni d’acquisto del consumatore. Se prima le aziende focalizzavano la loro attenzione esclusivamente sulla memoria esplicita (quella che consentiva al consumatore di rispondere razionalmente a questionari e sondaggi sul perché delle proprie scelte), oggi quella su cui ci si concentra è proprio la memoria implicita identificata come l’elemento che può contribuire ad avvicinare i consumatori ad uno specifico brand, grazie all’incremento di collegamenti con particolari emozioni. Come già detto infatti, il brand e la fedeltà ad esso sono strettamente connessi con le emozioni provate dal cliente durante la fase decisionale.
Sarà quindi importante attivare un processo che rispetti, in successione, questi step:
- creare contenuti “emozionanti”;
- attrarre emotivamente i possibili fruitori (collegando memoria implicita ed esplicita);
- trasformare i possibili fruitori in contatti prima e, successivamente, in clienti (trasferendo al target lo stesso valore del prodotto);
- riuscire a far percepire loro la perfetta aderenza tra bisogno e soddisfazione raggiunta (valore del brand, non semplice qualità di prodotto);
- renderli infine essi stessi promotori del brand.
Potremmo quindi concludere dicendo che il processo di avvicinamento di un consumatore al brand sia solo questione di feeling? Forse non solo, ma sicuramente ciò che l’emozione unisce…nessun competitor potrà separare!