Customer experienceInterviste

The Gift Therapy e l’arte della shopping experience

Migliorare l’umore tra il serio e il faceto, tra il design e il low cost intelligente
a cura di Progettomenodue

Il periodo natalizio è il momento ideale per raccontarvi una storia che sembra uscita da un libro di favole.

E quindi… c’era una volta Lennart Lajboschitz, un ragazzo danese, figlio di un venditore di asparagi e di una maestra d’asilo, che non si è mai laureato e che non ha nemmeno finito le scuole superiori.

Dopo aver passato la giovinezza a girare per il mondo con lo zaino in spalla, negli anni Ottanta, a Copenaghen, decide di aprire un negozio che chiama Zebra.

All’interno si trova un po’ di tutto: oggetti per la casa, giocattoli, articoli da regalo, cartoleria.

Un giorno, mentre si trova all’estero per un viaggio, riceve la telefonata della cognata che non trova più il listino prezzi. Lennart le suggerisce allora di vendere tutto a 10 corone (circa un euro) e le vendite aumentano in maniera così vertiginosa che, al suo rientro, cambia nome al negozio che diventa Tiger, per assonanza con la parola tier, ossia dieci. Non passa molto tempo che decide di passare allo step successivo: vuole personalizzare la merce del negozio e perciò inizia a disegnare una bocca su una tazza, mette dei pois sulle copertine delle agende e un paio di occhi sulla T del suo negozio. E di nuovo profitti aumentano: il negozio si riempie e l’offerta è costante. Tre anni dopo di Tiger in Danimarca ce ne sono quaranta ed è allora che Lennart prova a replicare il successo anche all‘estero.

Prima in Islanda, poi nel Regno Unito, poi in Spagna che, oggi, è, assieme all’ Italia, uno dei mercati di riferimento del gruppo, presente in 26 paesi con più di 800 punti vendita.

Con una percentuale di crescita annua del 35% e un fatturato dichiarato di 670 milioni di euro. Secondo alcune stime ogni minuto entra un nuovo cliente che, solo nel 2% dei casi, esce senza aver acquistato nulla.

Qual è quindi il segreto del successo di questo format?

Dopotutto, al suo interno si trovano duplicati di cose che si hanno già.Ma in versione più “emozionale” perché a tutti scappa un sorriso guardando gli articoli. Con il lancio ogni settimana di trecento nuovi prodotti, fare un giro da Tiger somiglia molto ad una caccia al tesoro. Le persone entrano senza sapere esattamente cosa troveranno e passano in rassegna gli scaffali: la penna simpatica da regalare alla collega, il gioco di carte per il nipote per fargli passare il viaggio in treno, i piatti in carta dalla grafica accattivante per una festa dell’ultimo. Alcuni lo hanno paragonato ad un altro gigante del low cost nordico, Ikea: prezzi contenuti, design molto scandinavo ed un percorso clienti da cui non si scappa.

Ma le somiglianze si esauriscono in fretta perché qui è l’inutile a regnare, perché qui non si entra per comprare qualcosa di cui si ha necessità.

Se proprio volessimo fare un paragone, Tiger ricorda molto i negozi di Elio Fiorucci di qualche decennio fa: chi è di Milano ed è figlio degli anni Novanta ricorderà bene quel luogo magico in Galleria Passerella dove nanetti da giardino fluo si mescolavano a milioni di articoli per tutte le tasche e introvabili altrove.

Elio Fiorucci Store, la rivoluzione della shopping experience

Lo slogan era, non a caso, retail therapy: uno spazio concepito per migliorare l’umore giocando tra il serio e il faceto, tra il super kitsch e il buon gusto.

Tiger sorprende ancor di più se si pensa che è un esempio di successo off line: i volantini gratuiti posti all’ingresso che cambiano ogni sette giorni restano la migliore pubblicità insieme al passaparola. Pur avendo un’attività social ridotta ai minimi termini, conta un milione mezzo di followers su Instagram.

Il prodotto piace, la sua fama lo precede tanto da non aver bisogno di ulteriori comunicazioni.

Ma se è vero che, in maniera provocatoria, alcuni esperti di marketing sostengono che la chiave del suo successo sia stata quella di non avere strategie definite, è anche vero che a monte c’è un team attento alle richieste dei clienti e ai cambiamenti socio-comportamentali. Di recente, è stata attivata la prima loyalty card sotto forma di app, basata su un percorso di gamification (strategia di cui abbiamo parlato nel precedente articolo e che sta conquistando sempre più brand).

L’utente risulta infatti parte attiva, può scegliere il proprio avatar tra una serie di personaggi che possono crescere e svilupparsi, come un Pokèmon. Attraverso sorprese, badge e coupon l’avatar si plasma sugli interessi dell’utente i cui dati vengono poi elaborati per offrire contenuti e offerte personalizzate.

Perciò da Tiger troviamo tutto quello che viene definito on-point: un vero e proprio contenitore di shopping entertainment dove ironia, acquisto emozionale, costumizzazione, accessibilità si fondono tra loro.

Oggi Lennart si è dimesso dal ruolo di CEO e si dedica esclusivamente ai suoi quattro figli perché, come lui stesso ha dichiarato, è solo a loro che deve la capacità di continuare a vedere il mondo con gli occhi curiosi di un bambino e di essere riuscito a trasmettere la gioia di  fare un regalo. A se stessi e agli altri.

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posizionamento del prodotto,store management,strumenti

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