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Il lusso nel food

Quando mi hanno proposto di dare il mio punto di vista su questo argomento mi sono interrogata a lungo sul significato della parola lusso oggi, soprattutto in questi tempi difficili di restrizioni e rinunce, e mi è tornata in mente una vecchia storia che mio padre mi raccontò da piccola. Lo scenario è quello della Seconda Guerra Mondiale, di un piccolo paese di provincia e di una collina lontana dai bombardamenti ma ridotta alla fame dalla situazione drammatica in cui versava il Paese. Un uomo disperato alla ricerca di cibo per la sua famiglia, percorse a piedi nella notte circa 20 km per raggiungere una zona di rifornimenti alimentari destinati ai militari che era stata appena bombardata. Per sua fortuna, girando per i campi nei dintorni, trovò un’intera forma di parmigiano e quella fu la salvezza sua, della sua famiglia e in qualche modo anche della sua comunità. Dopo averla fatta rotolare per 20 km in mezzo ai boschi infatti, riuscì a portarla a casa e ad usarla per mesi come alimento nutriente e come ottima “moneta” di scambio. Quel parmigiano, che per l’epoca rappresentava un bene di lusso destinato a pochi privilegiati, si era appena trasformato in un bene di prima necessità prezioso solo in rapporto al suo apporto calorico e alle sue qualità nutrizionali.

Potremmo quindi concludere che il valore intrinseco della materia prima e la sua lavorazione non rendono di per sé un prodotto un bene di lusso perché in condizioni estreme un bene alimentare, al contrario di altri beni come i gioielli ad esempio, torna ad essere importante solo in quanto fonte di nutrimento.

Quali sono allora i confini che delimitano la preziosità e generano il desiderio di un prodotto?

Come abbiamo visto, il concetto di lusso è necessariamente legato al concetto di superfluo, di bene accessorio ad un prezzo elevato. Ma non basta. Un altro elemento fondamentale da legare al primo è la mancanza, la scarsità di quel prodotto che proietta un’idea di assoluta esclusività per chi ha il privilegio di accedervi.

Pensiamo ad esempio ad uno dei prodotti più poveri della cucina, le patate, che diventano un vero bene di lusso da quasi mille euro al chilo se si tratta delle rare Bonnotte, una varietà francese molto particolare, considerata “in via di estinzione” e la cui produzione arriva ad appena venti tonnellate. In questo caso il prezzo è giustificato dalla rarità della materia prima.

Ma se avessimo trovato le rare Bonnotte semplicemente esposte in un banco del mercatino ortofrutticolo sotto casa, senza alcuna indicazione, saremmo riusciti in qualche modo a comprenderne la preziosità?

Di certo no e questo ci porta all’ultimo e forse più importante degli elementi che rende un prodotto di lusso: il racconto, gli aspetti simbolici ed emozionali che formano la personalità di quel bene e ne rendono il consumo una vera esperienza indimenticabile. Ed è questo aspetto che ci porta alla definizione più contemporanea del lusso, non più solo estremo ed inaccessibile ma democratico e legato alla qualità dell’esperienza d’acquisto e di consumo, all’immaginario che richiama quel prodotto.

Pensiamo ad esempio al co-branding tra aziende del settore food e brand della moda, che contaminano con la propria esclusività e personalità l’immagine di un prodotto attraverso packaging raffinati (le collaborazioni tra Dolce&Gabbana e il pastifico Di Martino o le raffinate collezioni di cioccolatini di Armani con Venchi, sono solo alcuni esempi).

L’alta gamma si fa quindi sempre più quotidiana, attraverso prodotti semplici che offrono promesse nuove a qualunque livello di distribuzione. Così le marche tradizionali si riqualificano, lanciando prodotti per fruitori sempre più attenti, linee gourmet a cui tutti hanno la possibilità di accedervi (entro certi limiti). Una strategia che consente alla Grande Distribuzione Organizzata ad esempio di differenziarsi attraverso un’offerta basata sul valore e non sulla competizione di prezzo, che genera oltre a buoni margini, la fidelizzazione di clienti sempre più nomadi e alla ricerca di qualità.

La ristorazione non è esente da questa nuova interpretazione del lusso. Ed è così che gli chef pluristellati scendono dall’olimpo per concedere momenti di felicità a tutti i mortali grazie a format accessibili sia nei luoghi, che nei prezzi: “Attimi”, il nuovo format dello chef stellato Heinz Beck nell’aeroporto di Fiumicino e “Antonino, il Banco di Cannavacciuolo”, il nuovo punto smart-gourmet dello chef più celebre d’Italia nell’outlet di Vicolungo, sono solo alcuni esempi di nuovi luoghi del lusso gourmet, vissuti come momenti esperienziali accessibili la cui funzione non è più, come lo era in passato, solo il simbolo di uno status, ma è fortemente legata ad un’emozione e al consumo di esperienze da raccontare e condividere.

Il desiderio di consumare un prodotto alimentare di lusso diventa quindi oggi un’opportunità da cogliere per attrarre i nuovi clienti sempre più alla ricerca, attraverso la propria scelta alimentare, di un mezzo per il rafforzamento personale che possa trasformare una normale cena in un momento di gratificazione e di condivisione di stimoli sensoriali e di un sistema di valori personali carichi di significato.

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TAG:
alimentare,customer experience,GDO
Riferimento nei progetti food e distribuzione moderna di Cavalieri Retail. Studiosa di trend di mercato e di innovazione nei processi retail. Da anni si occupa di progettazione e formazione in ambito aziendale.

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