“Essere moderni venne a significare, così come significa oggi, essere incapaci di fermarsi e ancor meno di stare fermi.”
Così il filosofo e sociologo Zygmunt Bauman introdusse il concetto di “modernità liquida”, proprio per sottolineare il fatto che, come i liquidi, non può assumere una forma per un lungo tempo. L’unica sua costante è il cambiamento e l’unica certezza è l’incertezza.
Quanto sono cambiate le nostre vite e abitudini in meno di 30 anni dall’introduzione del World Wide Web?
Tanto e rapidamente, senza dubbio.
La tecnologia ci ha consentito di essere sempre più connessi, semplificando processi e procedure.
Parliamo del nostro paese, l’Italia, per capire quanto e come le persone stiano affrontando queste evoluzioni e rivoluzioni digitali e tecnologiche.
Secondo, Eurostat, nel 2018, l’84% delle famiglie italiane hanno accesso ad internet e oltre 35 milioni sono le persone attive sulle piattaforme social (*).
L’Italia è un paese i cui utenti internet e in particolare social cercano svago e divertimento e per molto tempo (6 ore online, quasi 2 sui social, ogni giorno).
Ma capiamo meglio come si stia affrontando questa trasformazione digitale attraverso lo studio “Retail Transformation. Scenari di business e di consumo tra Intelligenza Artificiale, Big Data ed IoT” realizzato dal Digital Transformation Institute e dal CFMT, in collaborazione con Assintel e SWG.
Su un campione di mille utenti rappresentativo per genere, età e zona di residenza, è emerso un clima positivo e di curiosità rispetto all’innovazione.
Che rapporto abbiamo con internet? “Sono un utente medio” (31%), “Me la cavo piuttosto bene” (30%), “Sono un appassionato” (21%).
Fiducia, sorpresa, attesa, passione e gioia sono parole ricorrenti.
Se parliamo invece di realtà aumentata, realtà virtuale e di IOT non brilliamo per competenze, anzi, appare chiaro che c’è un livello di conoscenza molto generico.
Se il 58% degli intervistati si dichiara a proprio agio con la tecnologia, quanti hanno fatto esperienze digitali concrete?
Il 14% ha ricevuto notizie su un negozio visitato, il 12% ha dialogato con un assistente vocale, l’11% ha pagato contactless con lo smartphone, il 10% ha interagito la smart TV. Solamente il 4% dei consumatori interrogati ha condiviso un mezzo di trasporto usando un’app.
Quali sono le cause che ci portano a sperimentare e utilizzare poco gli strumenti disponibili? Sicuramente la scarsa confidenza ad usare qualcosa di nuovo, la privacy (cosa ne faranno dei miei dati? Finirò in qualche truffa?) o, forse, soltanto il desiderio di mantenere un contatto umano rassicurante.
Resta il fatto che la tecnologia evolve a ritmi sempre più rapidi e, certamente, più veloci della capacità di adattamento della società. Ciò porta, soprattutto in paesi con un’età media molto avanzata, come l’Italia, a una stratificazione sociale, vere e proprie caste tecnologiche, dove, chi ha maggiori capacità di utilizzare il mondo digitale, si trova in forte vantaggio competitivo su chi, invece, ha maggiori difficoltà.
Si pensi ai paesi in via di sviluppo. La connettività mobile ha cambiato la vita a centinaia di milioni di persone che, prima dell’invasione dei cellulari e, in seconda battuta, degli smartphone, si trovavano a vivere con pochissime opportunità di instaurare relazioni capaci di portare opportunità di lavoro e di crescita personale. Applicazioni come Grab (l’equivalente di Uber), che nel sud-est asiatico spopolano, hanno aperto le porte a una nuova economia che milioni di persone stanno utilizzando.
La capacità di generare valore che la società dell’informazione ha innescato sin dagli anni ’70 non ha pari nella storia dell’uomo e questo è un dato incontrovertibile sul quale occorre riflettere per non ritrovarsi tagliati fuori dal mercato del lavoro.
Non siamo più nella condizione di scegliere se vivere connessi o meno. Che piaccia o no, l’iperconnettività che caratterizza la società contemporanea è una condizione imprescindibile della post-modernità.
Essere liquidi non è più sufficiente, nella società attuale occorre diventare gassosi!
(*) Fonte: We Are Social, 2019.
Foto di Debbie Oetgen da Pixabay