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La resilienza come comportamento organizzativo

Tra le eredità di questo periodo tremendo e infinito, troviamo nel nostro linguaggio parole mai usate prima, delle quali ora sentiamo il bisogno perché esprimono qualcosa che finora non aveva importanza (ad esempio, sapevamo già cosa significa “assembramento” ma non era rilevante per la nostra vita di prima…).

Una di queste parole è “”, vocabolo preso in prestito dal mondo scientifico. A volte lo si confonde con “resistenza” ma non è corretto perché quest’ultima implica l’esercizio di una forza per contrastare un’altra forza, mentre la resilienza è la capacità di assorbire l’energia di un urto e riutilizzarla per rinforzarsi.

La resilienza è la facoltà di auto-ripararsi dopo un danno, anzi di sfruttare gli effetti del danno stesso per trovare un assetto migliorativo, di riorganizzarsi in modo da metabolizzare le conseguenze del trauma e renderle parte della propria nuova identità.

Non è quindi respingere o evitare la crisi, ma ripristinare le proprie funzionalità a seconda dei cambiamenti provocati dalla crisi.

C’è un immagine che rappresenta bene la resilienza: il kintsugi, l’arte giapponese di ricomporre i cocci di un oggetto di ceramica. Per questa operazione, viene usata una specie di colla dorata o argentata, che non nasconde le giunture tra i frammenti, ma le fa risaltare.

Il vaso, la ciotola e il piatto in questo modo assumono valore perché le loro ferite dorate li trasformano in pezzi unici, dal momento che nessun oggetto si rompe in modo identico ad un altro.

Il pensiero di fondo è che l’imperfezione causata dal danno possa trasformarsi in una nuova forma di bellezza.

Un’altra metafora calzante è quella alpinistica

L’alta montagna è un ambiente intrinsecamente sfavorevole all’uomo. La temperatura e la rarefazione dell’ossigeno mettono in difficoltà il corpo umano. Inoltre, la natura provoca cambiamenti spesso improvvisi e imprevedibili. Per l’alpinista è importante avere una buona resistenza fisica, ma anche la resilienza necessaria per riadattare le proprie energie mentali e fisiche alle criticità, ricavandone una spinta ulteriore verso il proprio obiettivo (o verso la rinuncia all’ascensione, ma qui occorrerebbe aprire un altro capitolo).

Torniamo a noi. Questa pandemia ha inferto un trauma alla nostra vita privata e professionale. Inutile adesso domandarci quanta resistenza avremmo potuto esercitare; è più utile capire qual è ora il nostro grado di resilienza, quanto cioè siamo in grado di riassestarci in un nuovo equilibrio, né migliore né peggiore ma solo più adatto.

A questo punto come sempre domandiamoci: cosa c’entra tutto ciò con il Retail?

Indubbiamente, l’urto della pandemia sul settore è stato violento e non è ancora esaurito. Ma i numerosi studi e indagini di questo ultimo anno ci dicono che non siamo di fronte all’estinzione di un settore, bensì alla sua trasformazione. Ci dicono anche che il cliente non vede l’ora di…….non lo sa bene nemmeno lui, aspetta la risposta da noi. E se ci guardiamo intorno con gli occhi del cliente, vediamo molte risposte, molta resilienza trasformata in comportamenti. Tanti operatori del settore hanno avuto una reazione inaspettata, hanno scoperto dentro di sé una capacità  che non sapevano di avere. Hanno trovato ogni giorno il senso del proprio lavoro, più forte delle contrarietà, e hanno sviluppato strategie di adattamento positivo.

Hanno tenuto lo sguardo fisso sul cliente, anche se intorno era confusione e angoscia. Parlo dei venditori che sorridono attraverso la mascherina, anzi sorridono di più proprio per oltrepassarla; di quelli che vengono incontro al timore e al disorientamento del cliente, con padronanza e controllo della situazione; di quelli che hanno velocemente fatto amicizia con gli strumenti tecnologici e ora si impegnano ad aiutare il cliente ad usarli. E l’elenco sarebbe ancora lungo.

Qualsiasi siano gli sviluppi futuri della situazione attuale, il comportamento resiliente delle organizzazioni e delle persone che le compongono è la competenza che consentirà di ritrovare un nuovo assetto, un nuovo modello di servizio, una nuova immagine, dove le linee dorate del trauma superato comporranno una nuova visione, una nuova identità di marchio.

Resilienza adesso concretamente significa accettare il cambiamento, uscire dalla confortevole zona dell’ “abbiamo sempre fatto così”, essere disposti a confrontarsi, imparare, provare, sbagliare e riprovare, evolvere e condividere i progressi dentro e fuori dall’organizzazione.

Significa anche lasciare acceso il senso di empatia e reciproca comprensione che la comune difficoltà ha suscitato e trasformarlo in una rinnovata capacità di cogliere i bisogni del cliente.

 

Foto di GEORGE DESIPRIS da Pexels

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Dopo una lunga esperienza aziendale come HR, lavora come consulente per società e aziende. Trainer e Business Coach, esperta in Retail Management e Change Management, ideatrice di modelli di apprendimento esperienziali e di metodologie di team coaching.

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