Customer experience

People come first. Experience Design

a cura di Progettomenodue
E’ da questo titolo che partiamo per analizzare una branchia del che si è sviluppata negli ultimi dieci anni e che Bruce Sterling, autore di fantascienza e tra i padri fondatori della letteratura cyberpunk, definisce la più evanescente, la più simile e vicina all’arte teatrale, alla psicologia e alla filosofia tra le forme di design.

E come dargli torto se parliamo di una disciplina che evolve ogni giorno e mette l’esperienza al centro della sua progettazione? Cosa, dopotutto, non è esperienza nella vita di ogni singolo essere umano?

Sui precedenti numeri di Cretail sono stati pubblicati interessanti articoli su quanto un momento soddisfacente incida e valorizzi un prodotto e anche come da un’economia classica e razionale si sia passati ad una più emotiva e interconnessa.

Bene, l’experience design, a volte indicato con la sigla XD, si occupa proprio di questo: progettare un prodotto o un servizio che sia in grado di coinvolgere in maniera non statica l’utente facendo leva su diverse componenti quali usabilità, accessibilità e piacere.

L’experience designer cerca quindi di comprendere gli usi e le interazioni che i clienti dovrebbero/vorrebbero vivere con quei prodotti/servizi.

Ne deriva un approccio multidisciplinare dove la ricerca riveste un ruolo fondamentale: dati, interviste, analisi di abitudini, trend, nuove forme di linguaggio, accurate indagini del target da raggiungere perché è solo attraverso la profonda conoscenza del destinatario finale che si è in grado di capire quali siano i suoi reali bisogni.

E qui si arriva al titolo del nostro articolo: il concetto di metodologia “persona-centrica” o, per usare un termine inglese, tanto cari agli esperti di marketing, human-centered.

 Progettare per l’esperienza di qualcuno permette di soddisfare le sue aspettative, suscitare emozioni e, se l’intero processo di fruizione è costruito in maniera fluida e interattiva, il risultato è assicurato.

Va anche detto, proprio per il suo carattere sulfureo, che è in atto un dibattito sulla differenza tra  Experience design e User Experience Design (o UX): c’è chi li ritiene intercambiabili, c’è chi invece preferisce distinguerli indicando con l’UX un processo che a che fare con la tecnologia e i sistemi digitali mentre l’XD con un ambiente più fisico.

Se cercate in internet qualche esempio pratico di experience design troverete sicuramente la Apple tra le case history più citate.

Grandi aspettative al lancio di ogni nuovo modello di Iphone, funzioni migliorate sulla base delle esperienze d’uso dei consumatori, pubblicità emozionale, oggetti status symbol, stores accessibili dove poter interagire con ogni prodotto.

A voler essere ortodossi, per quanto riguarda il caso Apple, l’experience design si mischia con altri settori: dalla , al service design all’emotional marketing.

Un esempio forse più calzante lo troviamo nel campo dei musei che da semplici spazi di cultura e conservazione sono diventati veri e propri luoghi di esperienza, capaci di offrire momenti diversificati e molto partecipativi.

Di recente è terminata al Mudec di Milano la retrospettiva su Klimt, l’ultima di una serie di un nuovo format espositivo fatto di proiezioni e interattivi.

Già, perché chiamarla mostra risulta quasi paradossale visto che, al suo interno, non presentava nessun quadro in essere del pittore.

Eppure, si poteva assistere ad un bellissimo racconto visivo, in un’unica stanza, in grado di farvi immergere a 360 gradi nel mondo dell’artista: non solo dettagli pittorici, ma anche le sue parole, le arti applicate, la moda e quella Vienna secessionista di cui fu assoluto protagonista.

Il tutto a ritmo delle celebri ouverture di Strauss, Mozart e Beethoven.

A chi l’ha detratta dicendo che una proiezione non potrà mai sostituire l’emozione di una tela, va ricordato che la performance è stata creata appositamente con uno scopo e un target di riferimento ben precisi: avvicinare Klimt ai più giovani, i famosi millennials, generazione abituata ad informarsi attraverso immagini e filmati. E che a Milano ha registrato più di centomila visite.

Anche nel campo del turismo l’experience design muove passi da gigante: il saper progettare una vacanza su misura, legata ad esigenze ed interessi specifici, ha dato vita a nuovi approcci strategici. E’ dell’anno scorso il lancio di Arbnb Trips: il gigante dell’hospitality ha difatti sviluppato un modo di far vacanza che offre molto di più di un semplice posto letto. Dalle cooking class alle passeggiate con avvistamento di lupi, dalle ore di pilates alle escursioni in luoghi di difficile accesso insieme a host locali. Oggi, sulla piattaforma, si contano più di 3100 esperienze attive in 40 città e in 26 paesi. Trend che non accenna ad arrestarsi, anzi.

E che risulta uno strumento utilissimo, soprattutto per gli addetti ai lavori, per ottenere informazioni sulle preferenze dei viaggiatori e migliorare sempre più l’offerta turistica.

Un’altra prova di successo che dimostra come il saper costruire un dialogo coerente col proprio pubblico porti a risultati eccellenti e come il design possa davvero produrre valore aggiunto nell’esperienza quotidiana di ognuno.

 

 

 

 

 

 

 

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