Fashion & Design

Perché pagare di più significa (davvero) spendere di meno

Immaginate di entrare in un negozio e vedere una t-shirt dal design accattivante e prezzo irresistibile: 12,99€. Un affare, vero?

Ora immaginate di ripetere questo acquisto ogni tre mesi, perché il tessuto si rovina, la stampa sbiadisce, le cuciture cedono. Alla fine dell’anno avrete speso circa 50€ per quattro magliette usa-e-getta. Ora immaginate invece di investire in una t-shirt in cotone biologico, ben rifinita, da 50€. Costosa? Però vi durerà anni, mantenendo forma, colore e qualità.

Questo principio si chiama “buy less, buy better”, ed è la chiave per capire perché la moda sostenibile, alla fine, costa meno. Ma il problema della fast fashion è al di fuori di quello che il nostro portafoglio può sostenere: è ambientale, sociale, sistemico.

L’insostenibile costo celato del Fast Fashion

La moda è tra le industrie più inquinanti al mondo. Secondo le Nazioni Unite, è responsabile di circa l’8-10% delle emissioni globali di CO₂, producendo tra 4 e 5 miliardi di tonnellate di gas serra ogni anno (Il Bo Live). Più di tutto il traffico aereo e marittimo messi insieme.

E non è solo questione di anidride carbonica. La moda consuma una quantità aberrante di acqua: servono circa 2.700 litri d’acqua per produrre una sola t-shirt, l’equivalente di quello che una persona beve in due anni (Aula Scienze Zanichelli).

Nel frattempo, i nostri armadi si riempiono di vestiti che indossiamo poche volte. Secondo un rapporto McKinsey, un capo di abbigliamento oggi viene utilizzato il 36% in meno rispetto a 15 anni fa. Significa che compriamo di più, usiamo meno e buttiamo via prima. E nel frattempo, il mondo ha sete, al costo delle riserve nei nostri ghiacciai che continuano a sciogliersi.

E i vestiti scartati? L’87% degli abiti finisce in discarica o negli inceneritori (Fashion Revolution).

Fast Fashion vs. Slow Fashion: due mondi opposti

Da anni ormai si parla di una dicotomia che porta con sé molti miti e false concezioni.

Da un lato, c’è la fast fashion: capi prodotti in serie, prezzi bassi, materiali scadenti. L’idea è chiara: si vende molto, molto in fretta. Le collezioni cambiano ogni settimana, spingendoci a comprare sempre di più.

Dall’altro, c’è la slow fashion, che segue un principio opposto: meno capi, ma di qualità; meno spreco, più attenzione ai materiali; meno velocità, più etica.

In risposta a queste definizioni, tutti possiamo sentire la solita frase venire pronunciata: “Beh, ma consumare eticamente costa, ed è un lusso per pochi!”.

E allora, sfatiamo questo mito, perché se facciamo un calcolo, ci rendiamo conto che la spesa, in realtà, è la stessa.

Quanto si spende davvero? Il confronto tra Fast e Slow Fashion

Prendiamo un esempio pratico.

Fast Fashion Slow Fashion
1 maglione da 30€ dura 1 anno 1 maglione da 120€ dura 4 anni
1 paio jeans da 40€ dura 2 anni 1 jeans da 120€ dura 6 anni
1 giacca da 80€ dura 3 anni 1 giacca da 250€ dura 10 anni

Il totale? 1480€ per il fast fashion, e 1460€ per lo slow fashion

Alla fine, i numeri parlano chiaro: la spesa è la stessa, ma nel caso della slow fashion la qualità e la durata sono nettamente superiori (Eucalan).

Una volta superato lo scoglio di quanto conviene a noi, c’è un altro aspetto: perché comprare fashion sostenibile costa di più?

Se la vostra risposta è solamente nella qualità dei tessuto, vi sbagliate: i brand che investono nella qualità delle loro risorse e dei loro materiali sono gli stessi che portano avanti l’innovazione, proiettandoci verso un futuro in cui i nostri vestiti sono resistenti, durevoli, riutilizzabili. Non ci credete?

Il Futuro dal Nord Europa

Non è fantascienza: alcuni brand stanno già lavorando su tessuti autoriparanti e fibre ultra-resistenti che potrebbero rivoluzionare il concetto stesso di moda sostenibile.

Ad esempio, la startup britannica PANGAIA ha sviluppato un tessuto innovativo trattato con oli di menta piperita che rallenta la proliferazione dei batteri e riduce la necessità di lavaggi frequenti, allungando la vita dei capi.

E poi c’è Vollebak, marchio noto per le sue giacche in grafene—un materiale 200 volte più resistente dell’acciaio—che promette di durare per decenni senza perdere prestazioni.

Queste tecnologie non solo riducono il consumo di risorse, ma cambiano il modo in cui pensiamo ai nostri abiti: non più oggetti usa-e-getta, ma strumenti progettati per accompagnarci per anni, con meno sprechi e più innovazione.

E in Tutto questo, noi cosa dobbiamo fare?

Possiamo continuare a inseguire le tendenze effimere del fast fashion, riempiendo gli armadi di capi che si deteriorano dopo pochi mesi, oppure possiamo scegliere di investire in innovazione, qualità e sostenibilità. Il futuro della moda è già qui, tra tessuti intelligenti, materiali autorigeneranti e fibre pensate per durare.

Sta a noi popolarizzare questi brand, sostenere chi sta rivoluzionando il settore e creare una cultura del consumo responsabile.

Perché la moda non è solo ciò che indossiamo, ma il segno che lasciamo sul mondo.

Copertina: credits Ethan Bodnar

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fast fashion,slow fashion,sostenibilità
Dopo aver completato un percorso di formazione personale comprensivo di esperienze di studio e lavoro in Italia all’estero, nel 2022 si laurea alla facoltà di Business and Management presso la Scuola di Amministrazione Aziendale di Torino. Verso il termine del suo percorso di laurea, inizia la sua avventura presso Cavalieri Retail, società che ha formato più di 50.000 persone per un totale di oltre 3.000 progetti in Italia e all'estero. Oltre alla sua carriera principale, svolge anche l’attività di produttore musicale e make-up artist.

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