Da tempi remoti retail e #architettura hanno sempre trovato molteplici punti di accordo. Il loro legame si è reso via via più stretto, precisato dalla necessità di creare luoghi funzionali ai gusti e alle abitudini di acquisto delle persone. Oggi, in un mondo in cui il digitale domina ogni settore produttivo, è quanto mai cruciale riflettere sul ruolo dell’architettura nella creazione di un nuovo modo di concepire lo spazio di vendita, specie in virtù della popolarità crescente dei #temporary shop, negozi lampo che richiedono un ripensamento radicale dell’esperienza in-store.
Per saperne di più, abbiamo avuto il piacere di intervistare l’Architetto Alessandro Cesaraccio, con cui è nato un confronto altamente stimolante e pieno di intuizioni da sviluppare.
Come si sta evolvendo il settore dell’architettura in rapporto al cambiamento innescato dalla trasformazione digitale?
Se intendiamo la trasformazione digitale come sostituzione dell’atto creativo che è “fare manuale” oltre che intellettuale con gli algoritmi informatici, questo non può accadere. Viceversa, se la domanda riguarda la trasformazione digitale, intesa come supporto all’atto creativo, la risposta è affermativa nei termini in cui consente la riduzione dei tempi di elaborazione di complesse formule matematiche e geometriche. Per visualizzare lo spazio fisico in maniera precisa e dettagliata, il filo conduttore comune è l’uso di uno strumento di programmazione visuale. La modellazione parametrica ne è un esempio, come nella rappresentazione magistrale delle architetture di Zaha Hadid.
Quanto conta l’aspetto architettonico nel conferire valore aD uno spazio di vendita?
Moltissimo. Lo spazio di vendita dialoga ed interagisce con chi lo frequenta. Anche quando il linguaggio utilizzato non è letto convenzionalmente, ha la capacità di comunicare, creando un’esperienza che è multisensoriale. È quindi facilmente intuibile la potenzialità del luogo fisico nel campo della comunicazione. Quante volte, in un particolare spazio architettonico, ci sentiamo bene accolti senza magari capire esattamente perché? Ecco, ricreare quella situazione è l’obiettivo che ci si deve porre quando andiamo a creare uno spazio di vendita che potrà narrare i momenti in cui l’architettura amplia l’orizzonte, svelando conquiste di senso, che tracciano nuove spazialità “da abitare” per future avventure.
Il temporary shop si sta imponendo come un modello di business altamente popolare. Quali sono, a parer suo, gli elementi sui quali si dovrà investire per conferire longevità a questo tipo di progetti?
Penso che la sua caratteristica di modello temporaneo, ne determini le continue mutazioni che richiedono forme progettuali adattative e ritmate in una sorta di architettura osmotica con lo spazio di vendita. Progetti correlati alle vocazioni effimere della cultura contemporanea che compongono una vasta costellazione di segni che modellano, a molteplici livelli, lo spazio-tempo dell’architettura del temporary shop. Non bisogna dare per scontato che esista un modello algoritmico che, semplicemente replicato, possa garantire la longevità del processo progettuale e dell’esito rappresentativo.
Da dove si dovrebbe partire per progettare un temporary shop?
Dal prodotto che deve essere commercializzato, dalla location individuata, dal tempo che si ha a disposizione per veicolare la proposta, insomma, da molteplici fattori che permettano di individuare le costanti che verranno utilizzate per articolare lo spazio architettonico.
Il temporary shop si basa sul principio di provvisorietà: come si concilia con gli sviluppi più recenti dell’architettura contemporanea?
Potrei rispondere con le parole con cui l’antropologo francese Marc Augé, sottolinea che l’architettura contemporanea «non mira all’eternità ma al presente: un presente, tuttavia, insuperabile. Essa non anela all’eternità di un sogno di pietra, ma a un presente ‘sostituibile’ all’infinito». L’evento architettonico, costituito dal temporary shop diviene di conseguenza, “l‘eterno presente” concepito per attrarre nuovi clienti. Il temporary shop, basato sul concetto di provvisorietà, avrà una sua architettura che potremmo definire “effimera”. L’effimero, a differenza del “duraturo”, può essere considerato tra i primi segnali da ascoltare per interpretare i mutamenti progettuali che interessano il temporary shop. La ‘coscienza dell’effimero’, ovvero quella nota vocazione dell’effimero che permette al progettista di proporre forme difficilmente ipotizzabili sul versante dell’architettura permanente. Con modi e tempi diversi dall’architettura, intesa nella sua espressione più convenzionale, l’effimero può, in poco tempo, allestire spazi sensibili, sperimentare forme e temi, senza il fardello della durabilità.
Il temporary shop, in un’epoca frenetica come la nostra, è destinato pertanto a imporsi come un vero e proprio trend-setter.