A cura di redazione
Come evolve la #formazione manageriale e in riferimento a quali studi ed esperienze? Quali sono i modelli comportamentali a cui ispirarsi per lavorare sulle soft skill. Lo abbiamo chiesto a Stefano Masci.
Lei ha fondato e dirige l’Associazione per la FORmazione MAnageriale. Da più di 20 anni si occupa di formazione manageriale e di dinamiche organizzative. Come è cambiata l’impresa e quali sono gli ostacoli e gli obiettivi per il lavoratore contemporaneo?
Purtroppo nella realtà quotidiana sono poche le aziende che si pongono il problema di come rendere l’ambiente di lavoro sereno pre-requisito di una azienda eccellente. Questo è possibile solo attribuendo valore alla qualità delle relazioni tra colleghi, o tra responsabili e collaboratori e anche, paradossalmente ignorato, tra azienda e clienti e fornitori. Io noto che la situazione da questo punto di vista sia peggiorata negli ultimi 10 anni, probabilmente a causa della precarietà percepita e dei valori in crescita sulla disoccupazione giovanile. Parlando con giovani ingegneri e laureati durante i miei corsi, i discorsi che fanno si potrebbero riassumere in: ringrazio di avere un lavoro, il resto come rapporti, relazioni con colleghi, chiacchierate alla macchinetta del caffè, se ci sono bene, in caso contrario non ne faccio un dramma. E questo è fortemente condiviso, ahimè anche troppo spesso, dalla fascia media dei dirigenti che, essendoci la crisi, reputano tutto ciò che non è direttamente convertibile in denaro come un inutile spreco di tempo. Il loro pensiero che viene tradotto in azione è: ringraziate di avere un lavoro e ricordate che siete pagati per svolgerlo e non per fare amicizie.
Le aziende, e non parlo chiaramente di quelle di eccellenza, credono che sia sufficiente l’esercizio di una posizione di forza – datore di lavoro/neoassunto; ditta/fornitori; dirigente/collaboratore– o che basti sottolineare spesso (e volentieri) quali siano le differenze gerarchiche tra chi sta in organigramma e chi no.
Io, lo dico da chi si occupa di formazione e di counseling da oltre 20 anni, non credo che le competenze relazionali siano inscritte in qualche gene ancora da scoprire, ma penso siano risorse presenti (casomai latenti) in ognuno di noi, che possono essere amplificate, valorizzate, per raggiungere risultati sia oggettivi-sociali (denaro, carriera, fama, successo, auto sportive o tutto ciò che vi fa girare quando vedete passare l’oggetto del vostro desiderio) che soggettivi-personali (felicità, senso di soddisfazione, autorealizzazione e tutto ciò che sta in cima alla piramide di Maslow).
Occorre valorizzare il lavoratore non solo sull’aspetto tecnico o operativo ma con processi formativi indirizzati a sviluppare le counseling skill che permettono di creare relazioni sane, ridurre conflitti e aumentare la partecipazione all’azienda da parte di tutti i dipendenti. È il passaggio da “l’azienda fa questo” al “noi facciamo questo”.
C’è da sempre un’importante linea di confine tra formazione comportamentale e formazione tecnica. Se da un lato si fa sempre più riferimento alle conoscenze tecnologiche, oggi si torna a parlare di soft skill, competenze trasversali come gli attributi personali, i tratti del carattere, i segnali sociali intrinseci, le abilità comunicative. Una sorta di neo-umanesimo filtrato dagli ecosistemi relazionali digitali. Le cosa ne pensa?
Tutto il bene possibile. Spero di non prenderla troppo alla larga, ma negli ultimi 6 milioni di anni, molte cose sono cambiate dal pollice opponibile alla neocorteccia, ma l’unica che è rimasta è la consapevolezza che da soli si muore e in gruppo si sopravvive. O meglio, per restare in argomento, ci si evolve. Va bene l’evoluzione tecnologica, ma deve andare di pari passo con quella umana. Del resto da tempo anche in Italia ci si è accorti che queste competenze sono utili, basti pensare che nel programma per formare project manager, è previsto lo studio proprio di quelle soft skill a cui alludeva prima.
Occorre motivare le persone che lavorano e la motivazione non può essere solo quella estrinseca (il denaro; promozioni; passaggi di livello) per questo serve che i responsabili, siano questi grandi dirigenti o capo magazzinieri, siano attenti ai microsegnali che vengono inviati, sia di apprezzamento che di rifiuto. Come dico spesso, il lunedì mattina non dobbiamo andare in ufficio contenti perché la nostra squadra ha vinto il giorno prima.
Recentemente parlavo con un dirigente di un’azienda informatica di medie proporzioni (un centinaio di persone) e mi diceva sorridendo che la cosa che gli piaceva di più era che in questa lui poteva trovare tutte le risposte alle sue domande sia come fare il back up di un data base, sia qual era il posto migliore per andare in vacanza con due figli piccoli. Ecco credo che questo renda l’idea di come un’azienda dovrebbe apparire ai sui dipendenti: un luogo non unicamente finalizzato a uno scambio tempo-denaro.
La formazione comportamentale tende a una convergenza con il counseling, segno che il benessere psicologico delle persone è diventato un elemento fondamentale anche nelle prestazioni professionali. Certo, il counseling si differenzia dall’approccio terapeutico per diventare spinta, stimolo, supporto. Ci spiega questo processo?
Nella mia scuola di counseling ci sono tra gli altri, come allievi, CEO di grandi aziende, responsabili HR, team leader, insomma persone che operano in azienda e che cercano nelle competenze di counseling quegli strumenti che permettono loro di operare al meglio, rendere il luogo di lavoro un ambiente sereno e non tossico e, contestualmente, portare l’azienda (il alcuni casi la loro) a valori di performance più alti. Un counselor, rispetto ad uno psicologo, ha fatto un percorso triennale fortemente pratico. Ha studiato il pensiero umano (del resto si parla di esistenzialismo e di approccio umanistico quando si fa riferimento al counseling il cui esponente è il filosofo Kierkegaard) ed ha imparato ad ascoltare e a comunicare ricorrendo a tecniche che vanno dalla riformulazione rogersiana degli anni ‘50 alla programmazione neurolinguistica degli anni ’70, agli sviluppi portati avanti dalla scuola di Palo Alto fino al Motivational Interviewing di Rollink e Miller. Consideri che queste competenze ed abilità ci vengono richieste dall’Università di Roma “Tor Vergata” quando ci chiamano per formare gli studenti della magistrale in Scienze Infermieristiche o il personale dirigente dei policlinici universitari. Essere in grado di sostenere un colloquio con un paziente, permette di ascoltarlo con più efficacia ed essere più specifici nelle spiegazioni, incrementando nei pazienti a rischio (con scompensi cardiaci gravi, osteoporosi importanti…) il self care. Ricerche internazionali (a cui abbiamo partecipato anche noi sia come scuola che come counselor) hanno dimostrato una riduzione delle riospedalizzazioni e dei decessi nei pazienti che avevano ricevuto un colloquio di counseling finalizzato ad una maggiore aderenza alle prescrizioni sanitarie.
Mi ha interessato molto la sua produzione di saggi. Alcuni testi, ad esempio, parlano di role playing e giochi di ruolo per la crescita personale e professionale. Che ruolo ha nella crescita individuale la componente esperienziale di tipo ludico?
Un ruolo fondamentale. Nel libro da lei citato, “Giochi nella formazione aziendale”, descrivo l’importanza di associare ad un intervento formativo teorico, una parte esperienziale per consolidare l’apprendimento. E se, l’esperienza che facciamo vivere ai partecipanti, è ricca di emozioni, la comprensione di ciò che stiamo dicendo e la sua memorizzazione sarà maggiore. Del resto, diceva il premio Nobel Dario Fo, …ricordiamo meglio e con più piacere una barzelletta a sfondo sociale in un bar, che non un intervento politico in un talk show.
Parlare di leadership o di followership può essere interessante, ma perfettamente inutile se non facciamo sperimentare cosa significano i due termini. Le moderne neuroscienze hanno, in tempi recenti, confermato come un’emozione interviene nei processi mnestici: la memorizzazione di un evento (e quindi anche di un argomento teorico) coinvolge il sistema limbico, ippocampo e amigdala. Strutture del nostro cervello associate all’attribuzione di significati emotivi ed affettivi agli stimoli esterni.
Quando gli iscritti ad un corso sono dubbiosi riguardo a partecipare ad un esperienziale che propongo, gli chiedo se ricordano la canzone che hanno ascoltato alla radio la mattina. Difficilmente qualcuno risponde, ma quando subito dopo gli domando se ricordano cosa suonava la radio o lo stereo il giorno in cui hanno baciato lei o lui… tutti sorridono.
Per cui il consiglio è quello di associare ad ogni argomento teorico, soprattutto dei più barbosi, un gioco, un role playing, un’esperienza anche forte dal punto di vista emotivo.
Che consigli darebbe a un candidato per migliorare le proprie capacità professionali? Su cosa occorre investire per avere maggiori opportunità di lavoro.
Il consiglio che darei è quello di acquisire capacità relazionali che possano permettere di essere efficaci durante un colloquio di lavoro. Imparare ad analizzare la congruenza tra comunicazione verbale e non verbale permette non solo di capire meglio gli altri e cosa vogliono oltre le parole, ma anche di essere consapevoli dei nostri pattern comportamentali e di pensiero, rendendoci più efficaci: più decisi e convincenti sia se chiediamo qualcosa sia se stiamo spiegando qualcosa.
Nel campo della formazione, direi di studiare Lewin e Berne per comprendere i meccanismi che regolano i gruppi ed individuare in tempo i segnali prodromici di conflitti che possono far la differenza tra un buon corso e il nostro peggiore incubo notturno.
Insomma direi che acquisire modelli di counseling può essere un buon inizio.
Stefano Masci è presidente dell’associazione per la formazione manageriale ed è Direttore della scuola di Counseling Relazionale ad approccio integrato CIPA (www.cipacounseling.eu). È Professore Incaricato presso l’Università di Roma “Tor Vergata” dove insegna Modelli relazionali e Counseling skill per le professioni sanitarie nel CdL in Scienze Infermieristiche ed Ostetriche.
Ha pubblicato con FrancoAngeli “Giochi nella formazione aziendale”; “Giochi e role playing per la formazione e la conduzione dei gruppi”; Le buone pratiche del counseling” e con Gremese Editore “Il conflitto in azienda”.
Da anni opera come consulente per aziende e tiene conferenze su tematiche legate al counseling e alla facilitazione aziendale.