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Trasformare uno store in un mezzo di comunicazione

A cura di Davide Pellegrini

È possibile trasformare un negozio in un mezzo di comunicazione che sia in grado di coinvolgere emozionalmente un consumatore. Lo abbiamo chiesto a Karin Zaghi, Professore Associato alla Bocconi e autrice di numerosi saggi sul tema del visual merchandising.

Karin Zaghi

Si parla di equilibrio tra negozio fisico e piattaforma digitale, eppure la sensazione è che il secondo stia di fatto cannibalizzando il primo. I grandi marketplace dell’e-commerce hanno dalla loro la facilità di utilizzo, ma lo store fisico può rilanciare sul concept design. Ci spiega come si colloca in questo ragionamento il visual merchandising?

A parer mio bisognerebbe iniziare a parlare del ruolo del punto vendita, che non deve essere più semplicemente una “macchina per vendere” ma diventare un ambiente di relazione nel senso reale del termine. Se questo vale, ragioniamo in termini di “esperienza”. La piattaforma digitale sta diffondendosi sempre di più, è vero, ma ciò che vende sono i prodotti, non l’esperienza. In tal senso il visual merchandising svolge una funzione estremamente rilevante, perché andrà a progettare degli spazi dove non solo il prodotto viene valorizzato per quelle che sono le sue caratteristiche intrinseche, ma verrà valorizzata anche la marca e tutto ciò che è il vissuto di marca. Ma al di là di questo, la scelta dei materiali, delle strutture e modalità espositive, dei sistemi di illuminotecnica e tutto quello che riguarda il mondo del visual merchandising unito allo store design, può contribuire a creare degli ambienti che vanno ben al di là di quelle “scatole” fatte semplicemente per esporre. Quello che deve emergere è un cambio culturale. Pensare a un punto vendita centrato sul cliente, sul suo vissuto, sull’esperienza che può vivere va da sé che richiede proprio un cambiamento di approccio e quindi il visual merchandising seguirebbe in modo naturale.



Eataly nel mondo è prima di tutto un Format

Uno dei termini che più mi colpisce è la parola Format. Molti pensano che l’allestimento di un negozio, la sistemazione di una vetrina, la scelta delle modalità di esposizione dei prodotti siano cose semplice e intuitive. Io credo ci sia un profondo studio del carattere e dell’identità di un brand. Come si costruisce un format distintivo di visual merchandising?

Condivido la perplessità, credo che costruire un format, un concept significhi proprio partire dalla marca e dal suo vissuto. Come dicevo prima, il punto vendita si pone innanzitutto come uno strumento di comunicazione e valorizzazione dell’identità. Dell’identità di insegna, se parliamo di un punto vendita multimarca, e anche di identità di marca, sia che si tratti di un punto vendita monomarca sia che poi si scenda a livello di considerare la presenza delle singole marche all’interno dello stesso punto vendita. Si deve proprio partire dal comprendere quali sono i valori della marca e scegliere in termini di coerenza tutte quelle che sono poi le diverse, infinite possibilità che il visual merchandising ci offre per esporre i prodotti di questa marca. Quindi parlare di “distintività” significa fondamentalmente ragionare proprio su un visual merchandising che deve essere coerente con il posizionamento dell’identità, in questo caso dell’insegna, e poi a seguire della marca. Dunque la domanda che sempre più ci si deve porre è che cosa contraddistingue Eataly da Esselunga, ad esempio, o da un discount come potrebbe essere Aldi. È ovvio che stiamo parlando di aziende completamente diverse l’una dall’altra e dunque devono essere rappresentate scelte di visual merchandising, facendo bene attenzione a che ogni singolo segno, fatto anche di materiali, vada a rafforzare questo messaggio forte sottostante l’identità. Naturalmente da queste scelte poi discende non più l’identità di marca ma l’immagine di marca, cioè il percepito da parte del consumatore. Non sempre c’è sovrapposizione, coincidenza tra l’immagine e l’identità, anzi purtroppo spesso e volentieri manca. Il visual merchandising, con tutte le leve che ha a disposizione, deve cercare di colmare questo divario.

Ho letto un articolo che consigliava di puntare sull’uso di smart mirror e tecnologie hi tech, un altro insisteva sui pannelli esplicativi o sulla preparazione di un corner per i prodotti best seller. Quali sono le tecniche del visual merchandising?

Smart mirror e nuove tecnologie

Credo che a questa domanda sia opportuno rispondere che non c’è una risposta univoca. Dipende ancora una volta dall’identità del punto vendita. Io ricordo molto bene quando anni fa parlai col direttore marketing di Ikea, il quale mi raccontò in modo chiaro, deciso che il digitale era assolutamente distonico rispetto a quella che è l’immagine che loro vogliono trasferire al cliente e dunque evidentemente anche in un’era in cui il digitale entra sempre di più nel punto vendita, Ikea ha continuato a utilizzare una tecnica di comunicazione più tradizionale per rafforzare i propri valori. Dunque a mio parere non c’è una scelta giusta o una sbagliata ma, ancora una volta, ci sono delle scelte che sono più coerenti rispetto al target. Da una parte Ikea ha la famiglia come riferimento e usa un linguaggio più vicino alla quotidianità dell’intero nucleo composto da età eterogenee, dall’altra magari abbiamo aziende in settori diversi che hanno proprio necessità di fare ricorso al digitale. Va da sé che la comunicazione digitale, il digital marketing, è molto utile in particolare per parlare a un pubblico più avvezzo, è la stessa “lingua” e questa è una regola aurea per tutti. Il visual merchandising deve mettersi nei panni del cliente, parlare il suo stesso linguaggio, così che il cliente possa riconoscersi nel punto vendita. Quindi benissimo inserire tecniche digitali dove abbiamo un pubblico che lo richiede.



Lei è l’esempio concreto di un approccio “colto” e sofisticato al mondo dello store management. I suoi libri parlano di semiotica e teoria del colore, di costruzione di un’atmosfera che trasmetta al cliente sensazioni confortevoli, accoglienti. Ma in questo processo di comunicazione, quanto è importante il ruolo egli addetti ai lavori (in-store manager, responsabili di negozio, ecc)?

Questa domanda pone l’accento su di un tema che, lei ben sa, è molto critico. Spesso lavorando con il personale di un punto vendita mi rendo conto che, se non ben compreso, il visual merchandising viene di fatto percepito come un pericoloso sostituto del personale stesso, anche se in realtà non è così. È piuttosto un supporto, e quanto mai prezioso, del personale perché il visual merchandising serve per iniziare a instaurare un dialogo con il cliente che entra nel punto vendita e si deve orientare, deve iniziare a comprendere la ricchezza dell’assortimento, le diverse alternative e sarebbe meglio se riuscisse a farlo da solo. Se così non fosse, rischieremmo di utilizzare il personale a sproposito, dedicato a rispondere semplicemente a domande che di fatto “dirigono il traffico”, dove trovo questo o dove trovo quest’altro. Ecco, direi che il visual merchandising, se vuole essere veramente di supporto, deve innanzitutto orientare il cliente, rendergli la vita semplice, fargli intuire con facilità lo sviluppo del punto vendita e la proposta dell’assortimento, così che poi il cliente – con le idee più chiare – possa decidere, nel caso voglia approfondire, quali domande effettivamente porre al personale, ma sempre dopo aver avuto un primo “filtro”. Ritengo che il visual merchandising davvero debba essere considerato uno strumento prezioso, di grande supporto al personale stesso.



Una domanda sul suo lavoro, anche se io conosco la risposta essendo un suo estimatore. Perché leggere i suoi libri?

Visual Merchandising

Bellissima domanda, perché innanzitutto il visual merchandising non ha regole universali e dunque nei miei libri non si troverà mai un decalogo su ciò che occorre fare o non fare, bensì si troverà un approccio, un modo di porsi rispetto al punto vendita, che indubbiamente è un approccio di marketing. Come già detto, io intendo davvero il visual merchandising come quello strumento che consente di trasformare lo stesso punto vendita in un medium di comunicazione e valorizzazione dell’identità di insegna e di marca e nei miei libri questo è ciò che fondamentalmente si ritrova. Il punto di vista non è quello dell’azienda, né del produttore, né del distributore; il punto di vista è quello del cliente perché da lui, da lei, si deve partire. Sono oramai desueti l’approccio e la cultura di prodotto, anche se ancora fortemente radicati. Occorre quel cambio culturale di cui abbiamo fatto cenno, un modo di porsi completamente diverso che parte da quello che è la persona che entra in un punto vendita, con il suo vissuto fatto di altri punti vendita e dunque delle esigenze che vanno cambiando anche per effetto della concorrenza. Un cliente che cambia, quindi, e che non chiede al punto vendita fisico il prodotto, perché se vuole solo il prodotto va online. Nei miei libri c’è una riflessione che va oltre la trattazione di quelli che sono gli strumenti del visual merchandising ed è una riflessione molto più ampia di marketing, che ha per obiettivo non dico cambiare la cultura delle aziende da prodotto a esperienza, ma quanto meno di insinuare il dubbio.  

Karin Zaghi, Associate Professor of Practice della SDA Bocconi School of Management e Professore di Marketing presso l’Università Bocconi. Presso SDA Bocconi è coordinatrice di due programmi Executive: Trade Marketing e Visual Merchandising. Autrice di Visual Merchandising e relazioni di canale (FrancoAngeli, 2013) e di Atmosfera e Visual Merchandising (FrancoAngeli, 2008), nonché di numerose pubblicazioni manageriali, svolge da anni attività di consulenza nel campo del marketing e del visual merchandising.

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