a cura di Redazione
Incontriamo Emotional Marketing Research per parlare di algoritmi emozionali che integrano la ricerca classica, scannerizzano i KPI emotivi del target e individuano con precisione le emozioni che attivano il 70-95% dell’impulso d’acquisto e che sarebbero invisibili con i metodi tradizionali. Intervista a quattro mani con Gianandrea Abbate, uno dei punti di riferimento europei del marketing emozionale; è stato fondatore prima di Psycho Research (1996) e poi di Emotional Marketing Research, è autore dei volumi “Emotional Assets” (Adv Finedit Editore) e “Mind Marketing” (Scuola di Palo Alto Editore), e con Fabrizio Bellavista, responsabile di Emotional Marketing Lab oltre che digital transformation specialist, responsabile del dipartimento Neuromarketing e sharing economy di AINEM e co-autore dei libri “La Logica del Fluire” (Lupetti Editore) e “Io, tu, NOI, gli altri” (Aracne Editrice).
Secondo voi i social network contribuiscono a creare l’immagine di un brand? Come?
Nel moderno melting pot comunicativo, senza dubbio i social network hanno guadagnato un posto di rilievo. Ricordiamo che il marketing contemporaneo pone al centro le relazioni: si può gestire una relazione se non si conosce a fondo l’ingegneria emozionale che le muove? Nella texture generale che un brand costruisce sia off line che on line, quindi, la presenza nei social network può avere una valenza importante a patto che sia coordinata con il cuore pulsante della marca e che crei una relazione profondamente autentica ed emozionale con il proprio cliente: coerenza nella strategia, coerenza nei codici, sino alla coerenza nella scelta della piattaforma stessa. Riguardo a quest’ultimo punto, per esempio, l’emozionalità espressa da Twitter è molto differente da quella espressa da Facebook o Instagram: una comunicazione vincente su Facebook, infatti, può diventare un insuccesso se riproposta tale e quale su un’altra piattaforma.
Voi vi occupate di emotional research. Di cosa si tratta e come può essere applicata alle necessità delle imprese?
È una nuova tecnologia, un algoritmo emozionale che permette di tracciare l’emotività di chi riceve un messaggio e di applicare il concetto di “emotional programmatic” al brand: l’obiettivo è quello di una comunicazione che potenzi l’impulso d’acquisto con minori investimenti. Il sistema permette di applicare scientificamente colori, grafica, wording e musica con la massima efficacia.
Come può la prassi quotidiana del social networking trarre beneficio dalle vostre ricerche, in concreto?
Dopo aver posizionato – grazie ai feedback della ricerca – la marca nella mappa, il data base produce l’algoritmo emozionale che riguarda (per esempio) la “cucina ideale” degli italiani (immagine 1) che diventa il timone della nostra comunicazione; con essa emerge il cloud contenente le indicazioni precise di una vera e propria ingegneria emozionale e i suoi codici conseguenti (immagine 2). Nella mappa è evidente l’area semantica da cui attingere per il nostro storytelling nei social media. Gli elementi sono conseguenti al posizionamento nell’area di un morbido classicismo, nella zona della classica famiglia italiana in versione aggiornata, ove i concetti di pasta, mamma e attenzione alla natura sono di vicinanza. Ecco dunque che diventa immediatamente più facile percorrere, con i suggerimenti dell’algoritmo emozionale, la strada per costruire una cover di Facebook con tutti gli elementi visivi più performanti. Allo stesso modo si può continuare la narrazione coerente del brand anche facendo un post: meglio il prevalere del testo oppure delle immagini? La risposta dell’algoritmo è: immagini e video al 76% di preferenza. E se dobbiamo redigere un testo, che indicazioni seguire? Tra una tipologia di testo di approfondimento e uno invece in forma più sintetica, vince la seconda opzione: gli highlights sono dati al 72% di preferenza. E nello storytelling è meglio un approccio votato all’empatia o alla soggezione? Decisamente all’empatia – al 74% – ma è un’empatia in cui prevale l’armonia (al 64%), quindi dai tratti ‘leggeri’.
Naturalmente per questa descrizione sintetica abbiamo dovuto saltare un’infinita varietà di passaggi ma il messaggio è chiaro: la comunicazione nei social network può essere coerente e maggiormente vicina all’anima profonda del brand e quindi raggiungere migliori risultati.
Ci fate un esempio di come l’emotional marketing si lega a una strategia di brand design?
In realtà si possono fare molti esempi, uno per tutti: da Banca Micos siamo arrivati a Chebanca!, con applicazione su tutti i touchpoints. Il logo Micos infatti è stato il punto di partenza dal quale, attraverso il nostro algoritmo emozionale, siamo giunti a elaborare, insieme al cliente, il concept Chebanca!, con applicazione non solo sulla comunicazione on e offline ma anche su tutti i touchpoints. Abbiamo creato, attraverso un ricerca molto approfondita, un nuovo modo di essere banca perché c’era un pubblico che attendeva questa novità ed emozionalmente era pronto per cambiare il proprio modo di sentire ed agire.
Quali sono le competenze che dovrebbe avere un designer emozionale?
Conoscere profondamente non solo la psiche umana, ma gli otto principali emotional human profiles (immagine 3) e i codici che li contraddistinguono: in alternativa è utile usare le ricerche che svelano queste preziosissime informazioni.