a cura di Redazione
Il mercato dell’alimentazione sta cambiando. Entrano ormai in gioco applicazioni e piattaforme che, al di là dei servizi, offrono contenuti, come ad esempio le informazioni per essere più consapevoli di ciò che si mangia. Abbiamo intervistato Luciano Venezia, co-founder di EDO.
Sembra davvero esploso il mercato delle app per facilitare la comprensione della sana alimentazione e della cultura dei prodotti che usualmente consumiamo. Come vi è venuta l’idea e che riscontri sta avendo?
Il trend che vede i consumatori sempre più attenti verso ciò che mangiano è in costante crescita da anni e trova la sua massima espressione quando incontra la tecnologia. Lo strumento tecnologico più diffuso in questo momento storico sono gli smartphone, cosa che rende le app il mezzo ideale per comunicare con le persone. Edo ha iniziato a muovere i primi passi nel 2014 e, nel corso degli anni, ha avuto un riscontro sempre maggiore, fino a raggiungere ad oggi 500mila utenti registrati in Italia. Una community attiva che contribuisce al successo dell’app e che viene utilizzata sia durante la spesa al supermercato che a casa. È stato positivo anche il nostro “esperimento” inglese, un mercato sicuramente meno sensibile di quello italiano ma forse tecnologicamente più preparato.

Per il design di un’applicazione così specifica immagino ci siano volute competenze quanto più eterogenee. Da chi si occupa della programmazione della digital user experience ai contenuti veri e propri. Nutrizionisti, dietologi, content manager. Ci descrivi che tipo di professionisti avete coinvolto?
Il team di Edo è fortemente eterogeneo: le due componenti fondamentali sono sicuramente quelle legate al mondo “nutrition” e al mondo “tech”. Nel primo caso parliamo di tecnologi alimentari e dietisti, supportati dalla facoltà di Scienze e Tecnologie Alimentari di Cesena. Il mondo tech coinvolge invece gli sviluppatori che hanno costruito l’app, a cui si sono affiancati specialisti nella UX/UI per ottenere un risultato ottimale e che tiene conto delle necessità degli utenti. Fondamentale è stata anche la gestione finanziaria, critica per una startup che si trova a dover gestire tutto con poche risorse.

Un’applicazione del genere mancava sul panorama. Tendenzialmente facilita la lettura degli ingredienti a partire dal riconoscimento del codice di prodotto. Come avete raggiunto un accordo con le catene di distribuzione o i produttori?
La difficoltà principale l’abbiamo avuta proprio nella costruzione del database dei prodotti. Creare un canale di comunicazione con tutti i produttori o con le catene è molto complesso, sia da un punto di vista gestionale che strutturale: c’è una mancanza di digitalizzazione notevole, bisognerebbe cambiare radicalmente il modo di lavorare nel settore. Questi motivi ci hanno spinto dunque a chiedere anche il supporto dei nostri utenti nel recupero delle informazioni: tramite l’app ci vengono inviate le foto dei nuovi prodotti, che vengono prontamente inserite nei nostri sistemi da persone specializzate. La qualità del dato è per noi imprescindibile, visto che trattiamo tematiche delicate come allergie o intolleranze: oggi è sicuramente un asset aziendale di gran valore e che mettiamo a disposizione anche di altre aziende.
Abbiamo detto che c’è nel pubblico maggior necessità di consapevolezza circa l’alimentazione, ma la mia curiosità è: qual è il business model di un protetto del genere?
Il business model è sempre la parte più delicata di un progetto: inizialmente siamo partiti con un modello B2C, orientato a monetizzare su contenuti avanzati forniti agli utenti. Ci siamo però accorti che non era un modello sostenibile, per questo motivo ci siamo spostati progressivamente verso il mondo B2B, offrendo alle aziende le competenze che abbiamo maturato nel corso di questi anni. L’obiettivo finale è vedere Edo incorporato all’interno delle GDO, per offrire un’esperienza di acquisto innovativa e tecnologicamente avanzata. Stiamo lavorando in questa direzione e speriamo di raggiungere accordi importanti durante il corso dell’anno.