a cura di Davide Pellegrini
Intervista a #Massimiliano Tonelli, professione publisher e content manager tra i più apprezzati nel settore culturale del paese, tra arte e food.
Pur provenendo dal settore bancario hai consolidato negli anni una importante competenza nel content management. Per dirla chiaramente, sei un professionista che lavora nella progettazione dei contenuti dall’arte al food. In cosa consiste esattamente il tuo lavoro e come è cambiato nel tempo?

Esattamente questo. Gestire contenuti, inventarli, declinarli sui vari mezzi, cercare di dare ai lettori dei contenuti per primo nei settori in cui opero. Negli anni l’approccio non è cambiato. Si è adeguato un po’ il linguaggio, si è affinata la conoscenza dei vari ambiti e si è messo in linea il tono di voce con quello che l’ecosistema mediatico in cui siamo necessita: una grande differenza è stata determinata dallo strapotere, peraltro ora in fase di assestamento, dei social media.
Da lungo tempo ormai hai un rapporto con il gruppo Gambero Rosso. da Artribune, magazine online dedicato all’arte contemporanea e ormai leader indiscusso di settore alla rivista del Gambero. Quale è la strategia editoriale del gruppo e con quale logica sei riuscito a cucire interessi così eterogenei?
La strategia è stata piuttosto lungimirante direi. Ovvero mettere la stessa persona ad occuparsi di due temi che qualche anno fa (2012) sembravano distanti ma che negli ultimi anni sono arrivati ad un livello straordinario di convergenza. Oggi la griglia semantica del mondo del cibo e quella del mondo dell’arte sono quasi sovrapponibili, si tratta in entrambi i casi di raccontare nuovi progetti, nuove aperture, nuove tendenze, nuovi e meno nuovi talenti e soprattutto si parla di raccontare la creatività e i processi creativi che la determinano. In maniera intercambiabile sui due settori e molto stesso in sinergia.
Parliamo del food. Grande inflazione di contenuti di ogni tipo. Dai canali istituzionali tradizionali ai media cosiddetti informali. Dalla TV a YouTube. Guru, cooking shows, telericettari ovunque. Non ti sembra che la scena sia un poco troppo inflazionata? In un panorama simile come può un utente selezionare la qualità del contenuto?
È una bellissima sfida per noi che siamo un media verticale in questo mondo. Gran parte del “nostro” lavoro, di quello che abbiamo fatto come Gambero Rosso per decenni, oggi lo fanno altri visto che tutti parlano di cibo dalla tv ai grandi prodotti editoriali generalisti. Questo ci spinge ai margini del discorso, fuori dal cuore main stream. E questo è super stimolante: significa cercare contenuti, inventare contenuti, avere una visione che i media generalisti non possono e non vogliono avere. Chi vuole contenuti rassicuranti e normali ha tantissime fonti, chi vuole fare scoperte e scovare chicche deve venire da noi. Naturalmente siamo nicchia, ma una nicchia fertile, evoluta, di grandissimo valore.
Il Gambero, ricordo la Città del Gusto, è un precursore di format. Cooking shows, food theatre, formazione esperienziale e grande attitudine al coinvolgimento di una community di appassionati. Come sei riuscito a trasportare questo mood (curioso, la correzione automatica trasforma mood in modo) nella rivista attuale?
La rivista attuale è stata progettata guardando molto a quello che il Gambero Rosso faceva negli anni Ottanta e soprattutto Novanta. Quello che stiamo cercando di fare è un newsmagazine culturale, che utilizza il mondo del cibo, del vino, del territorio, dei produttori, degli allevatori, dei viaggi come dispositivo culturale. Come scusa per parlare di impresa, di paesaggio, di creatività.

Ci parli del nuovo Gambero Rosso? Stile editoriale, idee, taglio degli articoli. Che cosa i sei inventato stavolta?
Una rivista completamente rivoluzionata che, puntando su firme di qualità (ne abbiamo fatte entrare decine in questo primo anno post restyling), si poggia su tre pilastri: belle foto fatte appositamente per noi, illustrazioni e infografiche e mappe. Un giornale utile, da usare, che ogni volta che si compra “insegni” qualcosa. Senza rinunciare alla piacevolezza della lettura e a imponenti supporti iconografici. Una sfida ambiziosa necessariamente low cost (oggi è molto complicato investire su riviste di carta, come si sa) ma che ha avuto un bel riscontro sia in termini di vendite e abbonamenti sia in un bel ritorno di pubblicità, inserzioni e progetti realizzati assieme con le aziende.
Obiettivi futuri?
Per quanto riguarda Artribune vorrei creare una scuola di formazione. Per quanto riguarda invece il Gambero vorrei portare sul nostro sito web tutte le tante guide gastronomiche che l’azienda edita. Ecco i due obbiettivi per il 2019