É con il primo respiro che passiamo dalla dimensione acquatica alla vita terrestre.
Ognuno di noi ha fatto esperienza del piacere che si prova respirando a pieni polmoni nella nebbia, o in riva al mare. Ognuno ha provato la sensazione di sentirsi limitato se non addirittura oppresso semplicemente dal fatto di dover portare una mascherina davanti al volto.
Mai come in questo periodo ci siamo resi conto del valore del respiro.
Una parola da tenere ben presente nel futuro, non solo per il valore ritrovato, ma anche per ciò che da questo meraviglioso vocabolo discende, vale a dire il termine #ispirazione.
L’ispirazione, come un respiro, assorbe nutrimento da ciò che ci circonda, e lo fa nel mondo più sottile e delicato, trasformandolo in nuova luce, in forma di idea. Essere ispirati significa non prendere a piene mani, carpire, sfruttare o estrarre con forza.
La molecola di realtà che inaliamo nella mente ci porta a uno stato di leggera alterazione, provocando il movimento del pensiero e dei sentimenti e spingendoli ad agire per realizzare un’opera, per compiere una scelta, per profferire una parola.
Ciò che ne scaturisce è una guida al ben operare, al ben agire.
Quando diamo via a nuovi progetti, siano essi un’impresa lavorativa o un obiettivo personale, spesso siamo spinti dal desiderio di ottenere un vantaggio economico, dall’urgenza di innovarci o da fattori esogeni, come un cambio di normativa, o una scadenza temporale.
Tutte motivazioni che spingono ad agire sotto pressione.
Solo un tipo di motivazione sfugge a logiche emergenziali o di tensione, e per questo si pone come quella in assoluto più elevata e preziosa: si tratta dell’ispirazione.
L’ ispirazione è una motivazione che parte dall’interno, la riconosciamo perché genera quella formidabile energia che ci permette di abbattere ogni ostacolo che si frappone al raggiungimento del nostro obiettivo. È il tipo di motivazione che ci permette di guardare al futuro senza farci paralizzare dalla paura del presente.
Talvolta dopo una mareggiata, o altri eventi simili, vengono alla luce tesori che erano rimasti sepolti per anni, o addirittura secoli. In modo analogo, grandi stravolgimenti del nostro modo di lavorare, di pensare e di progettare, possono lasciarci a terra, senza più riferimenti, ma anche offrire al nostro sguardo qualcosa che era rimasto sepolto da consuetudini e logiche consolidate.
Lasciarsi ispirare da ciò che è stato portato in emersione può essere più sensato che cercare di prevedere l’andamento delle cose.
Ma come si trova l’ispirazione?
Guardando a qualcosa come non si era mai fatto. Un procedimento che ha più a che fare con l’arte che con il marketing. Lo si rintraccia nello spaesamento sistematico di artisti come Max Ernst, e ancora di più nell’effetto di straniamentodi Lev Tolstoj, attraverso il quale gli oggetti vengono sottratti al processo di automatizzazione che li rende privi di senso per riportarli a un livello cosciente di percezione.
Il più grande divulgatore e maestro di quest’arte è ricordato in questi mesi, in occasione del centenario dalla nascita. Si tratta di Gianni Rodari. Nella sua Grammatica della fantasia si trovano esercizi e modelli di pensiero che rimettono in moto la creatività, il pensiero libero, le associazioni, tutto ciò che serve per ritrovare quella prodigiosa spinta alla crescita che fin dalla nascita porta gli esseri umani a misurarsi con problemi più grandi di loro. Senza farsi intimorire dall’incontro con l’errore.
Secondo l’etnologo Stith Thompson[1], un errore clamoroso si trova in una delle fiabe più celebri, Cenerentola.
L’errore riguarda la scarpetta, che in origine avrebbe dovuto essere di “vaire”, una sorta di pelliccetta. Per un fortunato errore e una felice assonanza, il termine si trasformò in “verre”, vetro, e così una scarpetta di cristallo prese il posto di una pantofola di pelo. L’ispirazione che Perrault trasse da quell’errore permise di dare vita a una delle fiabe più seducenti di sempre.
Un articolo apparso su Repubblica qualche mese fa, riporta che nei primi anni ’40 Disney produsse Pinocchio, Fantasia, Dumbo e Bambi.
Gli incassi non bastarono a coprire i costi e l’evento disastroso della guerra mise la compagnia in serie difficoltà. Disney scelse Cenerentola per tentare la rinascita. Il film uscì negli Stati Uniti nel 1950 e ottenne il maggior incasso di quell’anno, permettendo allo studio di ristabilirsi economicamente, pagare i debiti e pensare a nuovi progetti.
L’errore che ha ispirato Perrault nel ‘600 ha permesso di salvare la Disney nel 1950.
Perché i numeri tornano sempre, alla fine.
[1] Le fiabe della tradizione popolare, Il Saggiatore, Milano 1967, p. 186
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