Partendo dal presupposto che non vi è un dato univoco sull’anno in cui finisce e inizia una generazione, si può affermare che oggi i Nativi Digitali hanno meno di 25 anni mentre i Millennials non superano i 40. Anche se sulla linea temporale le due generazioni sono vicine, in termini di caratteristiche comportamentali sono profondamente diverse.
I Nativi Digitali: una generazione influenzabile
I Nativi Digitali, anche detti Generazione Z, possiedono un modello di consumo difficile, fortemente condizionato da personaggi che spesso non appartengono alla loro generazione: influencer come Kylie Jenner, Chiara Ferragni, Huda Kattan (beauty influencer), cantanti del calibro di Rihanna, Justin Bieber o i più recenti influser, sui social media sono in grado di raccogliere una quantità impressionante di like in tempo reale.
Anche se è molto facile avvicinare e coinvolgere la Generazione Z è altrettanto semplice perderli e vederli allontanare per nuovi brand emergenti. Non presentando un particolare modello di affezione ad un marchio specifico, le aziende devono lavorare molto di più per accaparrarsi la loro fiducia: facile da conquistare ma difficilissima da mantenere.
Diversamente invece, dai Baby Boomer (nati tra il 1945 e il 1959), considerati la generazione del “perchè”, molto più dubbiosa, attenta e interessata a i significati più che ai prodotti.
I Millennials: una generazione curiosa
Mentre la Generazione Z si ferma alla superfice delle cose, i Millennials, nati tra gli anni ‘80 e metà anni ’90, attribuiscono una notevole importanza ai valori, alle origini e alla storia. Sul fronte moda non si fanno condizionare tanto facilmente, lasciandosi conquistare solo da ciò che realmente reputano bello. Con loro quindi, lo storytelling gioca un ruolo importantissimo in quanto, se svolto correttamente, può realmente soddisfare i bisogni di curiosità e ricerca dei significati.
La loro generazione si presenta molto equilibrata in termini di modalità di acquisto e guarda con particolare attenzione al passato. Gli anni ’80 sono stati teatro di grandi trasformazioni culturali e scientifiche che hanno portato a cambiamenti costanti, spianando la strada al millennio. Per questo motivo hanno un buon legame con la tecnologia ma mantengono sempre un occhio al passato, ricercando continuamente prodotti ed esperienze ad alto contenuto heritage.
La ricerca continua di un’epoca passata si ritrova anche in ambito musicale: i concerti di band come i Deep Purple o i Pink Floyd per esempio, richiamano non soltanto i fan che sono stati i testimoni del loro successo ma anche moltissimi trentenni.
Millennials e Nativi Digitali: tutti in aula
I moduli formativi con team di lavoro composti principalmente da Millennials sono strutturanti con visite aziendali che trasmettono tutti quei contenuti e significati in grado di costruire esperienze importanti che vengono assaporate lentamente. Con i Millennials infatti, occorre procedere per gradi, impostando un percorso di logica che dia il tempo di comprendere il significato ma soprattutto le motivazioni che danno origine a una data azione.
La grande differenza fra le due generazioni sta proprio in questo dettaglio.
Diversamente dai Millennials, i Nativi Digitali, interpretano le esperienze come un qualcosa da fruire velocemente e in sequenza. In più, la loro propensione alla distrazione rende difficilissimo mantenere sempre alto il loro interesse durante i moduli formativi. Bisogna muoversi con astuzia e lavorare con intermittenza: fornire uno stimolo alla volta per sollecitare continuamente la loro attenzione.
Collaborando con aziende del settore moda, il team di Cavalieri Retail, si imbatte molto spesso in addetti vendita giovanissimi. Per riuscire a soddisfare qualsiasi tipo di esperienza modifichiamo, revisioniamo e adattiamo continuamente i nostri moduli formativi: inserendo attività interattive, giochi e simulazioni veloci. L’utilizzo di piattaforme e app specifiche, basate sulle logiche di gamification, si è rivelato una mossa strategica.
Saper parlare a generazioni diverse
Se i moduli formativi fossero creati su misura per una specifica generazione forse sarebbero più efficaci, in quanto calibrati sulle caratteristiche distintive del gruppo.
Tuttavia, non bisogna dimenticare che la Customer Experinece in negozio non è targettizzata: ogni dipendente, al di là del proprio cluster, deve saper comunicare con qualsiasi cliente dal Baby Boomer alla Generazione Z.
A questo proposito mi viene in mente un film visto qualche tempo fa: Divergent, di Neil Burge. La pellicola è ambientata in un futuro post-apocalittico in cui ogni cittadino viene smistato in fazioni differenti a seconda dei requisiti caratteriali.
L’appartenenza ad un gruppo rappresenta di per sé un qualcosa di positivo, in cui è possibile trovare tutto ciò che si adegua maggiormente al nostro carattere ma allo stesso tempo rappresenta un vincolo che spinge ad agire e a pensare sempre in uno stesso modo.
A differenza di ciò che accade nel film, nelle attività formative è impossibile creare cluster generazionali. Si rischierebbe di non riuscire a fornire agli addetti vendita i giusti strumenti per gestire l’eterogeneità dei clienti. Per usare un paragone sportivo è come se venissero allenati per una corsa campestre e poi gareggiassero in una corsa ad ostacoli.
Il nostro approccio sta nel procedere con classi eterogenee, prendendo il meglio da tutte le generazioni e collaborando in modo sincrono per ottenere i migliori risultati. In più, starà nella bravura del formatore, individuare le dinamiche e le leve migliori per stimolare tutti i partecipanti senza mai perdere la loro attenzione.
La sfida della #formazione è proprio questo: riuscire a parlare con efficacia a più generazioni e stimolarli al confronto e alla consapevolezza.
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