Competenze

Portare il benessere in azienda. Il caso Jointly

Un’intervista alla founder e CEO Francesca Rizzi.

A cura di redazione

Dedichiamo questo numero natalizio al tema gift/ regalo. ragionando molto, e dato che siamo un magazine che si occupa di fatto di cultura aziendale, mi è venuto in mente che non c’è migliore regalo che si possa fare in un’azienda che portare una cultura del welfare intelligente. Come funziona Jointly?

Francesca Rizzi, founder Jointly

Non so se il nostro sia un welfare intelligente, ma sicuramente abbiamo sempre condiviso con i miei due soci, Anna Zattoni e Fabio Galluccio e tutti i nostri collaboratori e partner, l’idea che il welfare debba essere finalizzato al benessere delle persone, delle organizzazioni, insomma dello stare bene in un’azienda perché questo porta a motivare i singoli, a migliorare le relazioni, ad essere più produttivi e competitivi e ad attrarre talenti. La nostra società offre servizi e progetti che spaziano dalla prima infanzia, alla non autosufficienza, dai servizi di time saving al tempo libero, dalla cultura alla formazione, alla mobilità con partner qualificati sempre alla ricerca di nuove realtà che possono essere di ausilio ai singoli e alle aziende.

Siete stati tra le prime realtà a operare sul settore del welfare condiviso e del trasferimento in azienda di servizi ad alto valore aggiunto per la persona. Oggi si parla di Smart Working. Cosa vuol dire davvero lavorare per il benessere della persona?

Oggi sfogliando qualsiasi rivista o giornale o frequentando un corso di formazione sulle risorse umane difficilmente non si parla della centralità del capitale umano e del wellbeing. Altra cosa poi è mettere in pratica politiche in tal senso. Affrontando il tema del welfare, la prima cosa che dobbiamo chiederci è quali sono gli effettivi bisogni delle persone, ascoltandole e conoscendole. Tu parli di smart working e senza dubbio se alle politiche di welfare non si affiancano politiche di flessibilità organizzative come il lavoro agile, la conciliazione vita privata-vita lavorativa, adeguamenti e miglioramenti normativi su target specifici (madri, padri, caregiver, disabili ecc.), si rischia un boomerang perché i dipendenti percepiscono solo una manovra di semplice risparmio economico fiscale e contributivo.

Tra i vari progetti di Jointly mi ha colpito molto Push To Open, con il quale avete vinto il Premio Olivetti, per il suo importante obiettivo di dialogo intergenerazionale. Vengono, inoltre, utilizzati strumenti di engagement e di role modeling. Ci racconti il progetto e che ruolo ha il digitale nella costruzione di un’appartenenza a una community?

Push to open è un progetto nato proprio nell’ottica del welfare condiviso, mettendo insieme idee, necessità, definite insieme ai referenti aziendali, anche su loro proposte.

Nelle famiglie con figli in età adolescenziali è molto presente la preoccupazione per il futuro dei propri figli  per meglio indirizzarli nella scelta degli studi e delle professioni. I genitori e i figli non sono spesso consapevoli delle opportunità offerte , dei nuovi “mestieri”, ma anche di quale capacità oggi vengano richieste dal mercato del  lavoro , capacità che peraltro gli stessi genitori devono sviluppare per rispondere alle nuove esigenze delle organizzazioni. Per circa  quattro mesi i ragazzi, ma anche i genitori seguono in streaming dirette in cui dialogano con manager, docenti di varie facoltà universitarie, pedagogisti, giovani che hanno intrapreso strade innovative fondando sturt up . I social, le chat sono le moderne agorà dove si sviluppa il confronto e si mettono “in piazza” le proprie conoscenze ponendo domande e i dubbi. A questo affianchiamo anche momenti di incontri fisici  in cui ci conosciamo e si conoscono fra loro i ragazzi , mettendo maggiormente a fuoco ad esempio come si fa un curriculum o un colloquio di lavoro.

Quali sono i prossimi obiettivi di Jointly e in che modo pensi che la cultura aziendale si stia in effetti trasformando in meglio?

In Jointly le attività di ricerca e sviluppo sono sempre in corso e lavoriamo continuamente per disegnare, testare e lanciare nuovi progetti. Ne cito alcuni: l’area del wellbeing inteso come benessere fisico, relazionale e organizzativo; il mondo delle fragilità e l’essere a fianco dei colleghi che in prima persona passano un momento complesso per vari motivi fisici o psichici o perché devono assistere un familiare non autosufficiente e vedono diminuire le loro energie lavorative; la valorizzazione delle diversità e molto altro. Per questo è necessario per noi conoscere e studiare le nuove frontiere della flessibilità organizzativa e dei servizi di welfare che possono migliorare le organizzazioni e far sentire le persone aiutate nelle loro difficoltà giornaliere e inserite a pieno titolo nelle organizzazioni.

Mi chiedi se la cultura aziendale si stia trasformando in meglio?  I segnali ci sono tutti: la letteratura in materia sostiene questo indirizzo, le ultime leggii  hanno dato sicuramente un nuovo slancio, le associazioni imprenditoriali , professionali e le organizzazioni sindacali sembrano muoversi in questa direzione. Il cammino però è ancora lungo, ma siamo ottimisti.

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competenze,modelli organizzativi

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