Nell’era dei social media, il successo sembra essere legato al numero di fan e di follower che si riesce ad accumulare, quasi che rappresenti una metrica ufficiale del nostro stato di salute digitale, come la temperatura corporea o la pressione arteriosa.
Come misurare il nostro stato di salute digitale
In realtà si tratta di vanity metrics, utili a gratificare chi desidera avere un po’ di visibilità ma decisamente poco scientifiche. D’altronde, è facile comprendere che un follower non vale l’altro. Un conto è avere un grande scienziato che ci segue, e magari commenta ciò che pubblichiamo, un altro conto è ritrovarsi come follower uno dei tanti perditempo digitali di cui pullula la rete. Per non citare, ovviamente, gli infiniti profili fasulli che qualche improvvido aspirante influencer occasionalmente compra un tanto al chilo.
Con questa premessa, un po’ tranchant, da addetto ai lavori desidero vedere il lato chiaro della forza, quel lato che consente di trovare persone davvero capaci di trasmettere online contenuti positivi, di arricchire culturalmente o spiritualmente chi ne fruisce. Magari anche solo di divertire in modo intelligente e garbato.
Certo, sto parlando di una parte modesta dei contenuti presenti online, ma è quella parte che può essere fonte di ispirazione per molte persone. Non dimentichiamo che la rete Internet è nata come strumento di condivisione della conoscenza, applicazioni militari a parte. Lo stesso Tim Berners Lee, l’inventore del World Wide Web, è partito dall’assunto di fornire uno strumento di condivisione del sapere agli scienziati del CERN.
È evidente che, quando la cerchia degli utenti si è allargata dal mondo scientifico, costituito da poche migliaia di soggetti, a oltre cinque miliardi di persone, la capacità autopoietica dei sistemi complessi si è manifestata in tutte le sue forme possibili anche nella rete globale, e quindi nei social media che ne rappresentano le piazze virtuali più affollate.
Come nel mondo fisico, anche in quello digitale, che ne è lo specchio distorcente e amplificante, ci sono manifestazioni di grande idiozia (si pensi alle tante, pericolose, challenge che spopolano tra i cerebrolesi volontari), e altre che esemplificano le migliori qualità umane in termini di condivisione della conoscenza e di stimolo positivo al benessere intellettuale delle persone.
Human marketing
Come promotore dello #human marketing ritengo sia importante positivizzare il proprio successo personale trasferendone le sue origini a un pubblico più o meno vasto. Si può avere successo perché si è molto competenti su un qualche argomento, benvenga quindi la possibilità di condividere ciò che si sa con chi può trarre beneficio da quella conoscenza. Oppure si può avere successo perché si riesce a stimolare la curiosità del pubblico verso certe tematiche, dote preziosa in un mondo dove la curiosità sembra sopita dagli stereotipi.
In ogni caso, la sfida è davvero grande ma gli strumenti che abbiamo non servono solo ad appiattire la biodiversità intellettuale, come qualcuno afferma, sta a noi, individui pensanti, attivare i neuroni e trovare le fonti d’ispirazione più congeniali e capaci di aiutarci a crescere.