Lo strano caso della pizza pepperoni mi ha sempre affascinato. Chiunque ami guardare film e serie tv americane, conosce bene questo fraintendimento culinario per cui si vede arrivare in scena una “pizza pepperoni” che è in realtà abbondantemente condita con delle rondelle di salame piccante così perfette da sembrare irreali. L’origine di questo misunderstanding risale ai primi del ‘900, quando gli immigrati italiani portano le loro ricette di salame al peperoncino –pepper in inglese– oltreoceano e storpiature tra la nostra lingua e l’inglese, trasformarono la pizza al salame piccante in pizza ai “pepperoni”.
Ma di storie di ricette e di cibo italiano nel mondo si potrebbe parlare per ore, perché l’Italia all’estero è soprattutto #food. Lo dice il vocabolario delle parole italiane più usate nelle altre lingue che vede nelle prime posizioni parole quali “pizza”, “cappuccino”, “spaghetti”, “espresso”,“mozzarella” e “tiramisù”. Lo conferma un’analisi dell’Economist che nel 2019 ha valutato il valore specifico delle diverse cucine nazionali sulla base di quel che mangiano fuori casa gli abitanti nel mondo: è emerso che, fast food esclusi, la prima cucina consumata al mondo è quella italiana con “un surplus virtuale” tra export e import pari a 158,2 miliardi di dollari.
Il #Made In Italy quindi non rappresenta più solo un’origine geografica ma genera nella mente del consumatore globale un “Country effect” e diventa automaticamente sinonimo di eccellenza, qualità e sicurezza alimentare. Un vero e proprio brand il made in Italy che già qualche anno fa uno studio KPMG, qualificava come il terzo “marchio” più noto al mondo dopo Coca Cola e Visa.
Come arrivano i prodotti italiani all’estero e come stiamo capitalizzando questo enorme patrimonio economico-culturale?
Il canale principale per far arrivare nelle mani dei consumatori di tutto il mondo i nostri prodotti è sicuramente la distribuzione: da questo punto di vista la dimensione ridotta delle nostre aziende e la mancanza di internazionalizzazione ha creato un enorme ostacolo alla diffusione del Made in Italy. Basti pensare che attualmente l’unico player presente all’estero è Eataly, nonostante in Italia, siano presenti aziende straordinarie per storicità, capacità gestionale e risultati economici (Esselunga ne è un esempio).
Negli ultimi anni, il canale online sta cercando di sopperire a questa mancanza attraverso la creazione di piattaforme e-commerce che consentano ai produttori di arrivare direttamente al consumatore senza intermediari.
Un’enorme opportunità se si pensa che il mercato del food online, a causa della recente pandemia, sta vedendo una crescita a tripla cifra e si stima che potrebbe già raddoppiare nel corso del 2020 rispetto all’anno precedente. Le piattaforme attualmente disponibili sono numerose: da quelle nazionali come Foodscovery, la piattaforma scelta da Slow Food per la vendita online, a realtà più specializzate come Piedmont Delight, che commercializza prodotti del territorio piemontese ma che sta già pensando ad un ampliamento dei fornitori a livello nazionale. Manca ancora però un vero leader del settore che sia il riferimento per i consumatori di tutto il mondo. La sfida quindi è ancora aperta.
Fin qui abbiamo parlato di prodotto, ma il Made in Italy non è solo materia prima: è cultura, tradizione, modalità di consumo e atmosfera. La ristorazione rappresenta il luogo ideale in cui far vivere la l’Italian Experience nel mondo. La brutta notizia è che le principali catene retail dall’ italian sound sono in realtà di origine ben diversa: basta ricordare la britannica Caffè Nero il cui payoff è “The Italian Coffee Company” o la tedesca “Va piano”, oggi in forte crisi ma che ha portato la cucina italiana in 29 paesi nel mondo con oltre 150 ristoranti.
Se quindi da una parte il potenziale del Made in Italy nel settore food è ancora in buona parte inespresso, dall’altra se si vuole crescere è bene che le aziende del settore si adattino alle nuove esigenze dei consumatori che, secondo l’analisi Global Consumer Insight Survey di PwC, ricercano con sempre maggiore frequenza prodotti healthy ed eco-friendly: in particolare il 49% dei consumatori sceglie prodotti/brand attenti alla sostenibilità; il 37% ricerca prodotti con packaging eco-friendly; il 41% dichiara di evitare il più possibile l’uso della plastica; il 44% dei consumatori è attento all’origine e alla trasparenza di filiera e vuole sapere se il bene è stato prodotto eticamente (ad esempio “fair trade” or “cage free”). Più di due terzi del campione, inoltre, è disponibile a pagare un premium price per prodotti a km zero e prodotti localmente. Come ha detto in una recente intervista il Ceo di Venchi, Daniele Ferrero, a cambiare in questi anni è il paradigma del consumer brand: se prima i brand globali pensavano globale per agire in locale, oggi quello che chiede il consumatore è che i brand pensino locale ma agiscano in modo globale, portando i clienti a far vivere la reale esperienza di consumo italiana fatta di profumi, musica, gesti e naturalmente di gusto in ogni parte del mondo.
In un momento di crisi come quello in cui ci ha catapultati l’epidemia del Covid-19, il Made in Italy nel settore alimentare rappresenta quindi il punto di partenza per una rinascita economica, il patrimonio più importante dal quale ripartire ma con una visione nuova proiettata nel futuro di uno sviluppo globale che rifletta le abilità e le capacità distintive del sistema imprenditoriale e culturale nostrano.