a cura di Davide Pellegrini
Come evolve il marketing digitale e come può garantire un’efficace esperienza utente? In che modo il digital può venire a supporto del customer journey? Lo abbiamo chiesto a Edoardo Aldo Sette, digital media consultant di grande esperienza e competenza.

Da esperto di temi digitali. Come possiamo definire una Customer Journey efficace sul web?
Una Customer Journey efficace sul web parte da un assunto: la comunicazione efficace non è data dalla sommatoria di singole iniziative, ma dalla capacità di tessere una trama, un racconto coinvolgente, una storia di valori, di ricordi, di aspettative sul futuro, che si evolve con i fatti della vita e che mantiene un rapporto con il proprio pubblico. La marca è viva e quindi necessita di raccontarsi attraverso un’esperienza quotidiana diretta, intima, che non teme la critica e il confronto con il mercato.
Oggi, rispetto al passato, intorno alla marca ci sono diversi attori che scrivono, commentano, criticano. Alla comunicazione unidirezionale del brand si è affiancata e ha acquisito sempre più rilevanza l’attività delle community digitali. Una volta erano centri d’ascolto, punti di confronto mediati con il mercato senza possibilità di esprimersi, oggi sono gli utenti stessi i principali autori di storie, storie reali, sono micro influencer con la capacità di raccontare, recensire esperienze positive e non intorno alla marca e diventano essi stessi fattori essenziali nel processo di acquisto. I consumatori non subiscono più il messaggio che ricevono dal marketing, ma lo interpretano, lo modificano e, se non gli piace, ne creano uno nuovo parallelo che si diffonde viralmente all’interno delle community, spesso con maggior forza penetrativa. Il contributo del digitale è l’immediatezza, che consente di veicolare i messaggi legandoli all’attualità, la possibilità di modificare “in corsa” il messaggio, ottimizzando le performance durante l’erogazione, la customizzazione del dialogo a target differenti contemporaneamente e, non certo per ultima, la misurabilità dei risultati ottenuti che deve anche essere il punto di partenza per la progettazione delle attività future.

Molte aziende separano la tecnica della Customer Journey dalla qualità dei contenuti. Perché secondo te le due cose sono legate?
L’accessibilità e gratuità del web, viste da sempre come punti di forza, di democratizzazione e liberalità di internet rispetto ai canali di informazione tradizionali, hanno manifestato nel tempo gravi effetti negativi. Si è parlato moltissimo, recentemente, del fenomeno delle fake news. La disinformazione che cresce e si diffonde anche più rapidamente dell’informazione proveniente da fonti ufficiali e autorevoli, rendendo complesso il processo di controllo a tutela. Cavalcando l’onda del catastrofismo, del sensazionalismo e dell’ingenuità di un pubblico poco consapevole delle dinamiche di monetizzazione dei contenuti, abbiamo assistito al diffondersi di portali pieni di notizie verosimili, ma essenzialmente false, riempite in oggi spazio della pagina da pubblicità di ogni tipo e natura. Questo fenomeno ha compromesso inevitabilmente la credibilità delle informazioni presenti sul web, aumentando la diffidenza e ha influenzato enormemente anche la produzione di contenuti per i brand.
La condivisione di contenuti prodotti da altri ha rischiato di far dilagare ulteriormente il fenomeno allontanando l’informazione dalla fonte che l’ha prodotta e rendendo impossibile risalire all’autore originale. L’attività di content curation (rielaborazione di materiale già presente online – ndr), che si era affiancata a quella di content creation (creazione di materiale originale – ndr), è stata a mio avviso ingiustificatamente demonizzata. Una content curation sana, basata su una ricerca delle fonti più autorevoli (riportate sempre in calce) e l’integrazione di contributi originali è un approccio critico utile alla discussione sul web e va sapientemente alternata alla creazione di contenuti (molto dispendiosa e non sempre garanzia di interesse).

La sovraesposizione a messaggi con finalità pubblicitarie e promozionali ha creato diffidenza e un generale disinteresse verso la comunicazione di marca. L’unico modo per mantenere alta l’attenzione è la capacità di legare le storie del brand ai continui mutamenti della vita quotidiana. La capacità di essere attuali e originali, con un enorme sforzo di creatività e capacità di captare i segnali di cambiamento. Il racconto non è una lezione di stile, è l’unica formula che consente di soddisfare l’esigenza di continuo rinnovamento contro un’indifferenza dilagante.
Ci troviamo in un momento di iper-offerta di servizi e prodotti. Quali sono gli strumenti più innovativi per la Customer Journey?
Credo molto nell’efficacia di attività come il guerrilla marketing. Decontestualizzare il brand dai normali luoghi in cui viene veicolato è una chiave di discontinuità che può ottenere risultati inaspettati, rendendo la marca più alla portata, attuale e di conseguenza “simpatica” per colpire l’immaginario e stimolare la curiosità degli utenti. La comunicazione sul web si fa sempre più veloce; si comunica con emojy, hastag, like e brevi commenti con cui è difficile interagire se non si è creata una relazione forte tra community e marca. Per ottenere questo risultato è necessario cambiare registro molto rapidamente, mantenendo però identità e personalità. Così come avviene nella vita reale, siamo circondati da cose che vediamo e desideriamo, che vorremmo avere a disposizione nel momento in cui il bisogno latente si trasforma in bisogno incombente. Più il brand è vicino alla vita reale o ai desideri comuni, “realizzabili”, più il processo di identificazione è efficace.

A livello di advertising il proximity marketing, sfruttando tecnologie come il geofencing o i beacon, può aiutare a intercettare gli utenti in touch point non convenzionali (es. messaggi in tempo reale di supermercati mentre si aspetta il treno in stazione ferroviaria o della metro). Vetrine dei negozi che sfruttano il riconoscimento facciale per proporre messaggi pubblicitari personalizzati. L’incontro perfetto tra offline ed online. Il videostorytelling consente di coinvolgere un pubblico che si sta disabituando sempre più a leggere e perde il piacere del racconto scritto a beneficio del racconto visuale (il fatto che Youtube sia considerato da molti un motore di ricerca prima ancora che un canale di intrattenimento o repository video la dice lunga a riguardo). ll successo di Netflix e il continuo proliferare di serie tv conferma che il videoracconto, in una moltitudine di puntate e serie, genera un enorme interesse e la frammentazione dell’arco narrativo consente al pubblico di inserirsi di puntata in puntata pubblicando i propri contenuti, commentando, facendo ipotesi sul proseguo della trama e dando così il proprio contributo alla community. Questa necessità di interagire con il racconto non può in nessun modo essere ignorata, va assecondata e guidata dalla marca. Recentemente si vedono sempre più spot televisivi “a puntate”. L’instant marketing si presta a creare continue occasioni di attualizzazione del brand nel contesto del momento.

Come evolveranno secondo te le agenzie che lavorano sui media? Su quali competenze è importante puntare?
Le Agenzie che sapranno cogliere il cambiamento si trasformeranno in Competence Center dove alle figure tradizionali dei tecnici del web (sviluppatori, web designer, grafici, social media manager…) necessariamente si affiancheranno figure umanistiche quali sociologi, filosofi, psicologi, autori di contenuti (web writer, seo content specialist e traduttori…). Nuove figure professionali si stanno sempre più consolidando nei gruppi di lavoro quali analisti, esperti in statistica e data scientist. Anche le professionalità delegate alla vendita dovranno evolvere le proprie competenze verso l’area più consulenziale per affiancare il cliente in tutte le fasi del progetto. Le piccole agenzie dovranno collaborare in maniera sinergica, sfruttando meglio i rispettivi settori di specializzazione senza tralasciare la vista di insieme sul cliente per soddisfarne appieno le esigenze.
Nelle Aziende più strutturate saranno sempre più necessari dei digital project manager dedicati per assicurare l’armonizzazione di tutti coloro che contribuiranno internamente ed esternamente al piano di comunicazione.
Infine, credo che le aziende che oggi vogliano seriamente intraprendere un percorso di trasformazione del proprio business verso il commercio elettronico necessitino affidare il coordinamento delle attività a un ecommerce manager dedicato, conoscitore del mercato reale e delle dinamiche della vendita online.

Cosa porteranno i Big Data, è davvero una opportunità?
Provo a rispondere con una citazione cinematografica: “Da grandi poteri derivano grandi responsabilità”. Responsabilità sociali, ovviamente, ma anche di capacità di lettura e affidabilità. I dati non sono altro che la rappresentazione di comportamenti di utenti reali. Non tutti i valori misurati sono dati significativi ed è importante saperli discernere. Se affido i miei dati a qualcuno, vorrei essere certo che il loro utilizzo possa portare valore aggiunto. Non ho bisogno di ricevere 2000 mail per prodotti o servizi che non mi interessano in questo momento e che finiranno in spam producendo un senso di frustrazione e inefficienza. Vorrei trovare contenuti interessanti capaci di coinvolgermi e informarmi, che mi offrano la possibilità di confronto e condivisione nel momento in cui faccio una ricerca o manifesto un desiderio, magari ho bisogno essere rassicurato per prendere una decisione e, perché no, anche guidato nel mare magnum di opportunità, ma sempre con discrezione e seguendo un filo conduttore che è il dialogo.
L’intelligenza artificiale in questo sta aiutando enormemente il processo di emancipazione in atto: ad esempio i chatbot sempre più sofisticati che riescono a interagire con gli utenti offrendo informazioni di interesse e ogni volta raccogliendo dati utili a migliorare la qualità delle risposte. La marketing automation consente, grazie all’utilizzo delle informazioni raccolte sugli utenti, di diversificare la comunicazione, ma risulta ancora spesso impersonale per ottenere i risultati sperati. È un primo passo necessario per comprendere che i dati possono aiutarci a migliorare la qualità dei contenuti che produciamo e che leggiamo sul web e di conseguenza agevolare molti aspetti della nostra vita online ed offline.