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Il design delle emozioni. Come un brand può migliorarsi

a cura di Progettomenodue
Corsi di life coaching, post Instagram con frasi ispirazionali, playlist musicali create ad hoc per lavorare al massimo.

Ultimamente, assistiamo ad un vero e proprio boom di che ci spingono a motivarci e a fare meglio. Complice, forse, la perdita di tante certezze nell’ultimo decennio e l’avere a che fare con un mondo tutto nuovo, globale e connesso, che ha impattato in tanti aspetti della nostra vita.

L’autorealizzazione non è però un concetto last minute: già nel 1954 lo psicologo Abraham Maslow aveva delineato la piramide dei bisogni, ossia i principali motori che spingono l’uomo all’azione, dividendoli tra quelli puramente fisiologi posti alla base e quelli più “nobili”.
In cima ad essa, c’è appunto la realizzazione del proprio potenziale.

Ma il design può essere emozionale e coinvolgente? Può un brand essere in grado di spingere i propri clienti a migliorarsi?

Dall’iconico Just do it di Nike, che ne ha fatto una filosofia di azienda e di vita, oggi volere è potere sembra essere diventato un mantra costante per tutti.

Wgsn, società leader in analisi e previsioni di trend futuri, mette in evidenza una evoluzione del consumo, sostenendo che entro il 2020 il marketing tradizionale, le strutture aziendali classiche e il consumo di massa verranno abbandonati.

La consapevolezza di ascoltare nuove voci, la formazione di una società dove i bisogni emozionali saranno sempre più importanti, la possibilità di introdurre un’anima nella tecnologia e il potere della generazione Z (nati tra il 1995 e il 2010) produrranno un cambiamento collettivo.

Nella pratica, questo bisogno di sentirsi coinvolti in un disegno più ampio, proiettato al miglioramento, trova espressione nel design partecipativo o co- design.

Nato nei paesi scandinavi alla fine degli anni Sessanta, è un approccio di progettazione che chiama in causa tutti i partecipanti al progetto per arrivare a ideare qualcosa di veramente utile, coinvolgente e fruibile.

Anche se in Italia questa forma mentis è ancora in fase di incubazione, si assiste progressivamente ad un orientamento verso questo approccio, soprattutto a livello urbanistico e di riqualificazione di quartieri: architetti che lavorano a braccetto con associazioni del territorio, artisti locali che ridanno linfa a luoghi semiabbandonati, semplici cittadini che aprono le porte delle proprie case per fare network.

Ne è un bell’esempio il lavoro fatto a Padova da un gruppo di giovani creativi che hanno ideato su Facebook la pagina di Arcellatown, dedicata al quartiere patavino considerato spesso problematico e critico.
Con tanto di logo, play off e post giornalieri sui tesori nascosti del quartiere, nel giro di pochi anni ha portato una ventata di novità e di fermento in un luogo dato per spacciato.
Eventi, mostre, nuovi spazi di aggregazioni, rinascita di commerci, piste ciclabili.
Centrando l’obiettivo di riuscire a risvegliare una comunità assopita e dargli una voce consapevole e fiera di riappropriarsi dei propri spazi.

Nell’ambito della progettazione, un altro aspetto innovativo è legato all’utilizzo della gamification.

Una volta individuato il target, lo scopo di questa tecnica è riuscire ad attivarlo, facendogli compiere delle azioni che provocano un maggior coinvolgimento e divertimento.
Il fine è infatti quello di proporre un prodotto facendo leva sulle emozioni e non sulla didascalia: nella maggior parte dei casi, si assiste ad un miglior tasso di adesione e di conversione, oltre che dei feedback precisi su quelli che sono i reali bisogni di chi lo utilizza.

Allo IED di Milano, lo scorso anno, è stato introdotto un master proprio sull’engagement & gamification il cui coordinatore, Fabio Viola, spiega come il gioco sia il miglior strumento per motivare le persone e incollarle ad uno schermo.
Ciò non significa trasformare un marchio in un videogioco, ma prendere le tecniche proprie del game design, come lo stimolo e la competizione, per far passare un messaggio in maniera meno noiosa e più avvincente.

Tra le aziende che hanno cominciato a utilizzare questo metodo cita la MSC Crociere che, nel campo delle risorse umane, ha messo in palio due posti di lavoro.
I candidati dovevano superare una serie di prove di logica che davano poi accesso alla fase finale, quella del recruiting vero e proprio.
Cosi facendo, l’azienda è riuscita a richiamare molti più profili rispetto ad un annuncio di lavoro classico e fare una scrematura naturale dei curricula.

O ancora Tuomuseo, un app sul turismo che vuole avvicinare le nuove generazioni ai musei e ai siti di interesse culturale.
Con una serie di missioni, come farsi un numero prestabilito di selfie all’interno di un sito o riuscire a convincere un amico a visitare una mostra assieme, si ottengono premi, sconti ed un posto in graduatoria che mostra gli utenti più attivi.

C’è chi sostiene che la vita sia fatta per il 10% da cosa ti accade e per il 90% da come reagisci.
In quest’ottica, il design attivo e partecipativo rivestirà un ruolo chiave per la creazione di una società più responsabile e attenta ai bisogni, fatta da persone, forse meno seriose, ma sicuramente più motivate e felici.

 

 

 

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