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Quali strategie devono adottare i retailer per affrontare il grande cambiamento del digital? Jacopo Paoletti, professione digital marketer, fa il punto sulla situazione.
Hai lavorato nel retail prima di dedicarti alla comunicazione e al digital. Se dovessi mettere sotto analisi il settore, visto che si parla di crisi, quali sono gli elementi sui cui occorre lavorare?

Ho lavorato per 7 anni nel retail, probabilmente per il più grande player GDS di elettronica di consumo che c’è in Italia, prima nel fisico e poi nell’online. Credo che la crisi di questi anni dipenda principalmente da una miopia che c’è stata in questo mercato una decina di anni fa. Gli operatori della grande distribuzione hanno completamente sottovalutato la portata del cambiamento che avrebbe generato l’e-commerce e il conseguente effetto di desertificazione dei grandi centri commerciali determinato dalla diminuzione delle pedonabilità di questi spazi a vantaggio del più comodo “ordino a casa/ricevo a casa/provo a casa” a cui ci hanno abituato colossi come Amazon. L’online sta quindi cannibalizzando la grande distribuzione, esattamente come questa cannibalizzò gran parte del piccolo commercio con il suo avvento: si tratta di un fenomeno che è assolutamente ai suoi inizi, che lascerà sicuramente diversi “morti” sul campo, in particolare chi non saprà cogliere le opportunità di questa inevitabile trasformazione. Personalmente non credo che si tratti di una crisi del retail, ma di una necessaria mutazione genetica di quest’ultimo: se è vero che gli e-commerce stanno erodendo quote di mercato alla /GDS, è anche vero che questi stanno cercando di entrare sul fisico (acquisendo catene retail o aprendo direttamente dei loro punti vendita, come Amazon Go). Questo dovrebbe far capire agli operatori del retail che forse dovrebbero entrare anche loro massicciamente nell’e-commerce integrandolo con i loro punti fisici: questa sarà nel medio termine l’unica via di salvezza.

Si parla spesso di convergenza del punto fisico con il canale digitale. Ma, a guardare bene, in cosa consiste davvero una strategia omnicanale?

Per una vera integrazione fra online e offline, fra fisico e digitale, serve una terapia shock nel retail. Intanto va cambiato il punto di vista degli operatori GDO: bisogna passare dall’essere distribuzione-centrici all’essere realmente cliente-centrici: la prima inversione di paradigma da fare è questa, perché non è un solo un cambiamento di natura tecnologica ma proprio di approccio al mercato. In secondo luogo c’è un tema di digital trasformation, che passa dalla cultura aziendale dall’alto fino alle singole persone di una qualunque organizzazione, e che inevitabilmente arriva ad un cambio profondo di processi e strumenti che ormai non è più procrastinabile. E le parole chiave in questo senso sono sicuramente e-commerce e social media. Si deve davvero pensare il cliente in modo liquido: oggi le persone sono abituate a passare dal parlare con un addetto vendita in un nostro negozio, sulla nostra fanpage Facebook, in una stories su Instagram, o con un nostro call center, e vogliono avere in tutti i casi le stesse risposte, coerenti fra loro, e poter comprare partendo da ognuno di questi canali, sempre avendo una sensazione omogenea sull’esperienza, coerente e uniforme con il nostro brand, a prescindere quindi dal punto di contatto (di persona in negozio con un addetto vendita, al telefono con un nostro operatore, sui nostri canali social, sul nostro sito e-commerce, ecc) e di arrivo della merce (venduta in negozio o spedita direttamente a casa).

 

 

Una delle grandi lamentele dei retailer è la presunta concorrenza sleale di Amazon & Co. Una forza, quella del gruppo americano, che investe tutti gli aspetti dell’impresa innovativa, dal content al delivery. Secondo te, da esperto di comunicazione e digital, quale lezione dovremmo imparare da marketplace di questo tipo?

Le lamentazioni sono una pratica molto comune quando si subisce un cambiamento. Ma ogni cambiamento si può scegliere di subirlo o di cavalcarlo. L’e-commerce è un nuovo canale e come tale è una nuova opportunità anche per i retailer. È chiaro che ogni canale richiede investimenti e non si può pensare di avvicinarsi all’e-commerce senza farne. Quello che consiglio oggi ai retailer è di considerare attentamente quali sono i ritorni di investimento sul canale fisico e sul canale online al momento. Valutando il ROI le risposte sono già tutte lì: chi ha il fisico oggi deve diversificare online, non è una scelta ma una necessità. Ad esempio con Japal.it abbiamo convinto alcuni importanti brand del largo consumo ad ammortizzare l’investimento in e-commerce con un marketplace che mettesse a fattor comune IT, processo e logistica: ad oggi questa scelta si sta dimostrando vincente, perché ha permesso a questi grandi marchi di entrare in un nuovo canale senza dover affrontare grandi investimenti ma gestendo questi nuovi costi in ottica SaaS (Software as a Service), con un forte controllo sul ROI e in particolare sulle performance generate dalle vendite.

Il fatto di aver costruito immensi centri commerciali, come cattedrali nel deserto, non garantisce però che le persone spendano o consumino. C’è bisogno di costruire esperienze e in questo senso, al di là del service design, si cerca di lavorare su format e contenuti. da poco avete organizzato un hackaton sul mondo retail, ce ne parli?

È evidente che, oltre a curare il canale online, bisogna trovare nuove ragioni per portare le persone ad andare nel fisico. I retailer devono puntare sempre di più sullo showrooming (perché il try&buy è un concetto su cui gli e-commerce sono ancora deboli, almeno quanto sono forti nella gestione dei resi, spesso con politiche particolarmente aggressive), e soprattutto sull’innovare la offline. Da questo punto di vista i GDO/GDS (soprattutto nel caso dei grandi formati e delle grandi dimensioni) possono essere delle nuove agorà su cui costruire nuovi servizi ad alta marginalità, oltre alla mera vendita di prodotti massificati. Gli hackathon possono essere un modo per coinvolgere la propria clientela in questo percorso di co-creazione di questi nuovi spazi, e sono un primo passo per rimettere il cliente al centro. Soprattutto i millennials possono essere protagonisti in questa trasformazione se coinvolti nel modo opportuno.

 

 

Il prossimo trend allora saranno eventi, relazioni e spazi di comunità?

Sicuramente sì. Gli Apple Store sono un ottimo esempio di questa strategia basata sui VAS (Value added service, cioè sui servizi a valore aggiunto) dove ha costruito gran parte del suo successo in ambito retail: basti pensare alla posizione della Genius Bar all’interno dei loro negozi (per la gestione dei servizi di post-vendita) o dei Creative (che di fatto vendono corsi ai loro clienti più professionalizzati). Ma queste sono applicabili a qualsiasi target e settore merceologico, si tratta solo di trovare la chiave giusta per ogni contesto. Ed è qui gran parte della sfida per i retailer di domani.

 
 

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Jacopo Paoletti, Digital Marketer, Serial Entrepreneur, Startup Advisor. È stato manager e formatore in ambito digitale in aziende di medie e grandi dimensioni dove si è occupato principalmente di Digital Transformation ed eCommerce; oggi è Founder della holding del digitale Comunicatica, Co-Founder della prima startup italiana sull’Intelligenza Artificiale Userbot, e dell’eCommerce italiano dei grandi marchi Japal.it, nonché Investor nel principale operatore di food delivery nazionale Moovenda e Advisor di moltissime altre startup e PMI. Scrive di Marketing e Comunicazione sul suo blog.
 
 

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