a cura di Davide Pellegrini
Della vicenda di Elle Darby ne ha parlato anche Wired, e per un momento la rete si è animata in un dibattito in cui, come spesso accade, si è fatto di tutta erba un fascio e nel calderone della cosiddetta fuffa c’è finito di tutto.
Ricostruiamo la vicenda con ordine.
Pochi giorni fa, la giornalista 22enne inglese Elle Darby, che di mestiere fa l’#influencer, ha contattato un luxury hotel di Dublino, il Charleville Lodge Hotel, per una doppia matrimoniale nel periodo di San Valentino cercando di barattare un pernottamento di 5 giorni con una copertura social. Elle ha spiegato ai suoi potenziali clienti che non era nuova a questo genere di operazioni e che alcuni, come l’hotel Universal Orlando in Florida, l’avevano molto apprezzata.
Elle Darby, accusata di essere una dei tanti cartelloni pubblicitari ambulanti, propone i suoi 87.000 iscritti al canale YouTube e altri 76.000 follower su Instagram. Come i media hanno già sottolineato non si tratta di numeri strabilianti, ogni suo video si attesta intorno ai 25mila viewers, però facendo la somma dei suoi utenti si può certo dire che la giovanissima YouTuber sta crescendo e, soprattutto, sta cercando di fare con passione un mestiere che, in un difficile momento della cultura contemporanea, non è ancora considerato tale.
Almeno non dal direttore dell’Hotel di Dublino Paul Stenson che, infastidito dalla proposta, risponde secco in questo modo:
Paul Stenson pubblica la sua piccata riflessione su Facebook, sulla pagina del bar restaurant a 5 stelle Michelin che gestisce, The White Moose Café, e gli effetti diventano virali. La influencer racconta di essersi sentita esposta, vilipesa, umiliata e, in qualche modo, lancia il suo anatema contro Stenson. Accettare lo scontro vorrebbe dire combattere pubblicamente e mediaticamente sul suo territorio e su quello di migliaia di altri blogger. In effetti, dopo il video in cui la Darby si presenta come vittima di un’aggressione, la comunità digital reagisce e lo fa con una serie ininterrotta di insulti, offese e minacce al povero Paul Stenson.
Bisogna dire che in questa storia nemmeno lui, il nostro direttore, è totalmente innocente. Molto scaltro sui social, con grande tempismo e spirito di sensazionalismo, è riuscito a trasformare l’inciampo di una temporanea bagarre in una campagna di #marketing per nulla scontata, come dimostra questo screenshot della pagina facebook dell’hotel.
Nell’ultima puntata del tormentone mediatico, segue la pubblicazione di una nota sul profilo di The White Moose Café in cui il direttore bandisce dal suo hotel qualsiasi blogger o influencer sostenendo che, dopo questa sgradevole situazione, non siano ben accetti nel suo albergo. E, dopo l’editto, sul sito di The White Moose café appaiono delle curiosate magliette che prendono in giro la youtuber inglese.
Ho voluto raccontare questo aneddoto molto recente perché, visto che parliamo di formazione, occorre sottolineare alcuni elementi per evitare la drastica demonizzazione dei media digitali.
Prima di tutto questa vicenda andrebbe caratterizzata come una questione di etichetta o meglio, netiquette; e denota, dal mio punto di vista, una carenza di professionalità da entrambe le parti. Se la giovane influencer si è rapportata a Stenson con presunzione e superficialità (ad esempio, sarebbe bastato vedere i numeri delle pagine social del suo albergo o del suo ristorante per capire che non c’erano i presupposti per un’offerta di visibilità), d’altro canto il direttore avrebbe potuto risparmiarsi la gogna mediatica solo perché non a proprio agio con questa categoria di professionisti. Il fatto che non stimi un influencer non lo autorizza certo a sbandierare ai quattro venti una conversazione che, professionalmente parlando, avrebbe potuto restare privata, nel rispetto dei ruoli e delle deontologie.
Poi c’è il discorso dell’influencer in sé per sé. Ovvero, la questione terminologica. Leggendo vari commenti qua e là sulle pagine dei social network mi sono imbattuto in persone, spesso dai 50 in su, che etichettano drasticamente l’influencer marketing come aria fritta, prendendosela con l’inutilità di questa presunta neo-categoria di professionisti del digital e, allo stesso tempo, esponendo tutta la loro ignoranza in termini di cultura della contemporaneità. Sì, perché, per quanto a disagio con i termini tecnici anglofoni, l’influencer è sempre esistito. Prima si chiamava VIP, poi lo conoscevamo come opinion maker e ora, nell’era del post network, ha preso la forma dei nuovi youtuber. Cerchiamo di essere sinceri. Cambiano i media e cambiano i linguaggi, cosa c’è di strano ad ammettere che possano cambiare anche i mestieri, e che quello che un tempo faceva un ufficio stampa o, magari, una persona importante dedita ad attività di lobbying, oggi lo fa un ventenne che trasmette a un suo target di followers idee e considerazioni sul mondo?
Non è cambiata la prassi dei comportamenti, è semmai mutata la modalità e gli strumenti tecnici.
Quindi cerchiamo, se possibile, di intravedere quale opportunità si nasconda in questi nuovi approcci alla comunicazione d’impresa e cerchiamo di mantenere lucidità rispetto all’opportunità di mettersi in linea con l’innovazione.
Matteo Pogliani è il più importante esperto di influencer marketing in Italia. Abbiamo chiesto a lui di darci delle indicazioni sull’argomento.
Hai seguito la vicenda della YouTuber inglese. Ma cosa ha sbagliato secondo te?
Senza dubbio l’approccio, più vicino a una pretesa (quasi imposta) e non a una proposta di collaborazione. Il messaggio che è arrivato alla struttura ricettiva non è stato quindi di sinergia e di volontà di creare valore condiviso, ma di voler ottenere qualcosa gratuitamente.
Un costo quindi per l’hotel e non un investimento capace di produrre ritorno dell’investimento.
Gli influencer sono come i brand, soggetti a dinamiche molto simili. Così come è difficile per un’azienda vendere “a freddo”, lo è per un influencer cercare di forzare una collaborazione senza prima aver creato il giusto terreno. Un terreno fatto di sinergia, autorevolezza e capacità di trasmettere che sarà un partnership che porterà valore per tutte le parti in gioco.
Perché, secondo te, molti considera l’influencer marketing come qualcosa di fumoso?
Come ogni strumento è il suo utilizzo a fare la differenza. Perché diventi tangibile e performante serve strategia e le giuste competenze per creare progetti capaci di esaltare la collaborazione brand/influencer, rispondendo così agli obiettivi aziendali.
Lavorando in modo data driven è possibile creare campagne estremamente “concrete”, sviluppandole in base ad insight precisi. È così che si va oltre il semplice product placement e la ricerca di follower su follower, costruendo elemento per elemento ogni aspetto del progetto.
I report internazionali parlano di una continua crescita dei budget dedicati alle campagne d’influencer marketing e una ricerca di Tapinfluence parla, per le campagne ben fatte, di 11 dollari guadagnati per ogni singolo Dollaro investito. Fatti concreti, non solamente vanity metrics.
Qual è dal punto di vista tecnico il valore aggiunto dell’influencer marketing e, soprattutto, ci vogliono competenze specifiche?
Il valore è generare, grazie all’intermediazione di figure autorevoli e credibili, un rapporto tra brand e utenti, diminuendo la distanza e generando conversazioni.
Una comunicazione con un impatto maggiore, validata dal trust e dalle competenze degli influencer, riferimento per una precisa audience.
Come ogni disciplina del mondo digital servono competenze dedicate e molta esperienza, elementi essenziali per progettare in modo preciso e performante i diversi aspetti della campagna (concept, outreach, gestione, misurazione).
Improvvisare non solo porta scarsi risultati, ma spesso può addirittura portare danni ai brand.
La formazione, quindi, ancora una volta risulta essere di fondamentale importanza. Formazione per non sottovalutare o ridurre a folclore un approccio tecnico fatto dell’applicazione e gestione di strumenti tecnici ben precisi. Il 16 febbraio, Matteo Pogliani sarà all’Impacco Hub di Via Aosta 4 a Milano con un corso proprio per descrivere le tecniche e le strategie per impostare una campagna efficace con l’influencer marketing.
IL CORSO DI MATTEO POGLIANI IL 16 FEBBRAIO A MILANO