a cura di Davide Bennato
Avete mai giocato con le carte di Propp? Sono una delle grandi idee atte a stimolare la capacità di creare storie che Gianni Rodari inventa nel suo libro “La grammatica della fantasia”. Consistono in una serie di carte da gioco che riproducono alcune delle funzioni che lo studioso russo Vladimir Propp identificò nel suo famoso libro “Morfologia della fiaba” per classificare le innumerevoli fiabe russe.
Le carte di Propp si usano così: si dispone sul tavolo una sequenza di carte prese dal mazzo e poi si costruisce una storia a partire dalla successione degli elementi che sono stati estratti. Le carte di Propp sono un ottimo modo per comprendere che nell’arte di costruire storie – narratologia o storytelling che dir si voglia – quello che è importante non è solo la componente narrativa, ma la componente funzionale, ovvero la capacità che noi abbiamo di mettere insieme un gruppo di elementi più o meno eterogenei in modo tale che siano in grado di sviluppare una narrazione.
Detto altrimenti: noi siamo convinti che per raccontare storie ci sia bisogno delle parole. È vero, le parole sono importanti, ma ciò che serve sono degli elementi che fungano da impalcatura del nostro ragionamento.
Per esempio nell’oroscopo gli elementi funzionali sono i segni zodiacali attraverso cui viene sviluppato un discorso legato al futuro. Nel caso di un processo, gli elementi funzionali sono le prove che vengono collegate tra di loro per sviluppare un ragionamento di colpevolezza o di innocenza.
In pratica è questo lo storytelling, un discorso che mette insieme degli elementi funzionali per ottenere uno specifico effetto narrativo come insegnare – le favole – oppure prevedere – l’oroscopo – oppure argomentare – come nel caso del processo.
I numeri non sfuggono a questa regola. Quando noi leggiamo un report, ovvero un insieme di dati, numeri e tabelle, noi non facciamo altro che organizzare in un ragionamento degli elementi funzionali che prendono la forma di tabelle, grafici e numeri. E che siamo chiamati a interpretare, ovviamente rispettando le regole della matematica.
Facciamo un esempio: la correlazione statistica. In statistica quando due variabili sono connesse, per esempio quando aumenta numericamente l’una e aumenta (o diminuisce) numericamente l’altra, si dice che sono correlate. Il problema è che la statistica dice che sono correlate (esistono un sacco di modi per calcolare la forza della correlazione) ma non dice perché: quello è il compito dell’analista che deve spiegare – ovvero trovare una narrazione – che giustifichi perché queste due variabili si comportano in questo modo strano.
E bisogna stare attenti, perché nella correlazione esistono oggetti strani – narrazioni paradossali se volessimo mantenere la metafora – come le correlazioni spurie. Queste particolari correlazioni dicono che due variabili sono legate, ma l’ipotesi che potrebbe spiegare il legame è talmente strana che sembra impossibile. Ed infatti lo è.
Tyler Virgen è un giovane data scientist che si è preso la briga di raccogliere le correlazioni più eccentriche (http://tylervigen.com/spurious-correlations), ovviamente spurie (nel senso che andrebbero spiegate meglio di quanto facciano). La mia preferita è quella che mette in correlazione la spesa negli USA in scienza, spazio e tecnologia con i suicidi per impiccagione, strangolamento o soffocamento: a leggere i dati, per ogni 5 miliardi di dollari investiti, i suicidi aumentano di 2000 unità. Quindi bisogna bloccare gli investimenti in ricerca scientifica-tecnologica per limitare le morti suicide? Evidentemente no, la storia che sta dietro questi dati è un po’ più complessa, o magari è semplicemente una coincidenza.
Ed è compito del ricercatore, dell’analista e di chi si occupa di lavorare con i dati di trovare la storia giusta.
È questo il data storytelling, raccontare storie attraverso i dati rispettando i vincoli matematici e di buon senso per dar vita ad una narrazione che rispetti la conoscenza scientifica ma anche l’eleganza del racconto.
Davide Bennato insegna Sociologia dei processi culturali e comunicativi e Sociologia dei media digitali presso il Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania.
Diversi i suoi incarichi istituzionali: vicepresidente del corso di Laurea in Scienze e Lingue per la Comunicazione del Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania, membro del Consiglio del Centro Informatica Umanistica (CINUM) dell’Università di Catania, membro del Dottorato in Sistemi Complessi per le Scienze Fisiche, Socio-economiche e della Vita del Dipartimento di Fisica e Astronomia dell’Università di Catania, membro del consiglio di Amministrazione di Bench s.r.l., spin-off dell’Università di Catania specializzato in ricerche sociologiche e studi di mercato, dove si occupa di social media analytics.
I suoi interessi di ricerca sono relativi all’analisi dei comportamenti collettivi nei social media, all’etica dei Big data, al rapporto fra tecnologia e valori, ai modelli di comunicazione scientifica e tecnologica in rete.
È autore dei volumi: Le metafore del computer. La costruzione sociale dell’informatica (Meltemi, 2002), Sociologia dei media digitali (Laterza, 2011), Il computer come macroscopio (Franco Angeli, 2015), Black Mirror. Distopia e antropologia digitale (a cura: Villaggio Maori, 2018).
Fra i suoi saggi: (2010) La circolazione delle tecnologie, in Enciclopedia Treccani XXI Secolo, (2014) La dataveglianza di massa. Conseguenze etiche e relazionali delle scelte tecnologiche di Facebook (in “Pubbliche Intimità” a cura di G. Greco), (2014) Etica dei Big data. Le conseguenze sociali della raccolta massiva di informazioni (in “Studi Culturali”), (2016) Il rischio della datafrenia nell’analisi dei big data. Appunti a partire dal caso «Mafia capitale», (in “Sociologia e ricerca sociale”), (2017) La svolta della scienza dalla comunicazione pubblica alle relazioni pubbliche. Il caso Vaxxed (in “Journal of Science Communication”), (2018) Le conseguenze nefaste dell’autonomia degli algoritmi (in “Forward – Recenti progressi in medicina”).
Sui suoi interessi di ricerca cura il blog tecnoetica.it e scrive sulla testata agendadigitale.eu.