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I bisogni son desideri

Le famiglie tendono a passare il tempo libero nei centri commerciali. Durante il sabato e la domenica sono ormai molti i casi di sovraffollamento di outlet o di ipermarket.

Negli anni ’90, quando è comincia l’era del consumo, si chiamavano nuove centralità urbane, quasi a intendere che fossero il centro, il fulcro della vita di un intero quartiere. Nella filosofia dello sviluppo urbano di quel periodo, il centro in periferia veniva sostituito da un luogo di intrattenimento commerciale, per usare una formula oggi molto chiara. L’operazione, in un certo senso, era quella di costruire un valore intangibile di crescita personale in un luogo concepito per la vendita di prodotto.

Nulla di scorretto, ma fuori fuoco l’obiettivo. Una volta terminate le necessità primarie, soprattutto in un momento di crisi economica, le famiglie hanno cominciato a frequentare outlet e centri commerciali come spazi di relazione e di comunità, senza necessariamente dedicarsi al consumo commerciale.

Magari alla ricerca di tutti i corredi necessari e i servizi collaterali per divertirsi, passare del tempo, e far giocare i figli. Nella memoria culturale del nostro popolo lo struscio è qualcosa di istintivo, di innato e resistente. Siamo cresciuti più o meno tutti con l’idea della “passeggiata”, l’esplorazione a cui dedicare quello scampolo di tempo libero per concentrare sempre più gli obiettivi di acquisto nei circuiti e nei canali decisamente meno impegnativi dell’online.

Il 3 ottobre 2018, sul sito di Confesercenti Nazionale escono i dati Istat sul commercio. Sono allarmanti, ma parlano in modo schietto.

Dati Istat

I redditi crescono, i consumi no. Il reddito disponibile delle famiglie consumatrici, nel secondo trimestre, e’ aumentato dell’1,3% rispetto al trimestre precedente, mentre i consumi sono cresciuti dello 0,1%. Lo rende noto l’Istat, la quale spiega che “il marcato aumento del reddito non si è trasferito sui consumi, risultati quasi stagnanti”. Di conseguenza, la propensione al risparmio delle famiglie consumatrici è risultata superiore di 1,1 punti percentuali rispetto al trimestre precedente, salendo all’8,6%. Inoltre, sempre secondo l’Istat, a fronte di un incremento dello 0,1% del deflatore implicito dei consumi, il potere d’acquisto delle famiglie è cresciuto dell’1,2% rispetto al trimestre precedente Il marcato aumento del reddito disponibile, spiega l’Istat, è “in ampia parte spiegato dal concentrarsi dell’effetto degli incrementi retributivi del pubblico impiego”.

Il quadro, in effetti, appare chiaro. Motivo per cui il dibattito si sta sempre più spostando sul discorso politico, ovvero se la chiusura domenicale dei negozi sia un’opportunità o, come sembra, alla fine andrà ad acuire la crisi e a mettere in difficoltà la turnazione lavorativa degli impieghi a tempo.

La questione è complessa ma, da un altro punto di vista, pare che si apra un altro orizzonte di riflessione. Federico Moccia, scrittore molto noto all’industria dell’intrattenimento e autore di best selling di massa, in un articolo per Repubblica del 13 settembre 2018 dal titolo Roma, una domenica tra shopping e desideri al centro commerciale scrive:

Federico Moccia

In certi casi le aperture domenicali e in orari continuati sono l’unico momento per fare la spesa o acquisti vari, per alcune famiglie sono perfino l’unico vero momento per stare insieme. «Dai prepariamoci si va tutti al centro commerciale!» Invece alcuni politici sostengono che chiudere aiuterebbe le famiglie a passare più tempo insieme e restituirebbe al personale che lavora la libertà di una volta. Ma sarebbe davvero così? Chi stabilisce ad esempio qual è il modo migliore e oggettivo per una famiglia di interagire?  Alla fine l’acquisto della domenica è un’ opzione, non un obbligo tassativo né in un senso né nell’altro e, se gestito in modo etico e opportuno, è un’ulteriore possibilità di lavoro. Ha i suoi pro e contro e non è possibile essere radicali. 

Forse è venuto il momento di considerare i prodotti e i servizi come contenuti di alto livello, e pensare all’utente come a un partner di cui prendersi cura offrendo la massima qualità, la migliore cura e attenzione, il comfort e il rispetto che merita. Non è un caso, oggi, che a parte la convergenza tra luoghi fisici con canali digitali il focus dei tanti argomenti dedicati al mondo retail tocchi soprattutto la questione culturale.

Come rinnovare un luogo commerciale facendo in modo che diventi un’occasione di crescita, di appagamento, di soddisfazione e solo in seconda battuta uno strumento di vendita e consumo?

Come fare in modo che l’acquisto sia una delle tante opzioni di un nuovo modo di fare esperienza stando assieme e costruendo delle comunità di relazione?

Sono temi importanti, ma il fatto certo è che non bastano più lo store design, le strategie di vendita, l’attenzione spasmodica e meccanica alla customer experience. Ora si parla di valori e di passioni, ora è il momento di quelle spinte emotive che rendano un’esperienza davvero esclusiva e irripetibile. Storytelling o cos’altro. A noi piace chiamarla motivazione, tutto quello che facilità l’empatia e l’identificarsi con l’altro in modo utile, comodo, necessario.

 

 

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