Chi aveva dato per moribondo il retail, ha commesso un errore di valutazione. È pur vero che gli acquisti online stanno aumentando notevolmente e i dati mostrano che il commercio elettronico è in un trend di crescita esponenziale in tutto il mondo. Anche in Italia stiamo assistendo ad un’ascesa rapida e continua e secondo gli esperti nei prossimi anni assisteremo a una maggior penetrazione di questa modalità di acquisto nella vita dei consumatori italiani, soprattutto nelle generazioni più giovani, millennial e Z.
Qualche numero: i consumatori online italiani sono circa 38 milioni, ovvero il 62% della popolazione, e si prevede che entro il 2023 raggiungeranno quota 41 milioni (Statista). Il valore del fatturato e-commerce in Italia nel 2018 è stato stimato in 41,5 miliardi di euro, con una crescita del 18% sul 2017 (Casaleggio Associati). Eppure gli utenti che nel 2016 hanno acquistano online in Italia erano comunque solo il 29% della popolazione, percentuale ancora lontana dall’83% della popolazione inglese, dall’82% di quella danese e dall’76% della svedese (Eurostat).
È innegabile quindi che la nostra società occidentale sta vivendo un cambio di paradigma sotto la forte spinta dei nuovi strumenti digitali, che sta ridefinendo anche e soprattutto la funzione di luoghi e di servizi che sembravano posizionati in assoluta sicurezza nella vita di ognuno di noi. Il lavoro e il suo luogo stanno diventando sempre più “smart”, le economie sono e saranno sempre più “sharing”, le relazioni sono diventate oramai quasi solo “social”, gli acquisti si dividono tra on e offline e a seconda di cosa si decide di acquistare prevale l’una o l’altra modalità, per non parlare dei luoghi dello shopping dove non si va più per acquistare dei prodotti ma per vivere una esperienza.
In questo scenario come cambiano i comportamenti di shopping e d’acquisto dei clienti? Proviamo a scoprirlo partendo proprio dal punto di vista del cervello del cliente, utilizzando la lente di ingrandimento del #neuromarketing.
Il cervello del cliente: cosa succede quando decidiamo di comprare un prodotto
Le neuroscienze hanno da tempo dimostrato che esistono processi cognitivi ed emotivi di cui non abbiamo il controllo razionale e di cui siamo (parzialmente o totalmente) inconsapevoli. Questi processi si traducono in comportamenti che influenzano anche il modo in cui percepiamo ed elaboriamo il significato dei messaggi di comunicazione e prendiamo le nostre decisioni di acquisto nei punti vendita o online.
“Non siamo macchine pensanti che si emozionano, ma macchine emotive che pensano”.
La definizione è di António Rosa Damásio, neuropsicologo portoghese – americano, che così descrive l’uomo nel suo libro L’errore di Cartesio. Quello che ci racconta Damásio è apparentemente semplice: i comportamenti dell’uomo vengono prima attivati dalle emozioni e poi, sulla base di quelle, prendono una direzione piuttosto che un’altra in seguito alla risoluzione dei conflitti tra parte non conscia e parte conscia del nostro cervello. Una modalità di funzionamento che si reitera ogni volta che si decide di acquistare qualcosa.
Il nostro cervello agisce seguendo un meccanismo semplice: uno stimolo esterno (la visione di un prodotto, di un testo e di un’immagine) funziona da trigger, da attivatore di qualcosa che è già presente nella nostra memoria di lungo periodo. La parte del nostro cervello non conscia reagisce dunque a uno stimolo che reputa degno di essere approfondito e comincia a recuperare elementi che servono per comprenderlo fino ad avere un’idea più precisa di quello che sta vedendo. Il tutto avviene molto rapidamente, in meno di un secondo. Ad attivarsi per primo è il cervello antico, definito dallo psicologo cognitivo McLean “rettiliano”, il vero e proprio promotore istintivo delle nostre decisioni, che funziona con due meccanismi semplici e intuitivi: allontanarsi dalle cose brutte e dal dolore e tendere verso il bello. Quando ci stupiamo di aver preso una decisione per l’acquisto di un prodotto a una velocità sorprendente, in realtà dobbiamo considerare che passiamo gran parte della nostra vita ad accumulare informazioni su cose che vorremmo fare, desideri e sogni che si definiscono nella nostra memoria di lungo periodo e di cui poi ci dimentichiamo. Si riattivano poi nel momento in cui entriamo in contatto con un trigger (uno stimolo esterno come un packaging per esempio).
La parte conscia, cioè la parte razionale, del nostro cervello invece entra in gioco con un ritardo di qualche secondo rispetto a quella non conscia e post-definisce una decisione che è stata già presa, in alcuni casi assecondandola, in altri modificandola. Ad entrare in gioco sono in questo caso una zona della neocorteccia cerebrale e l’insula, che guidano le emozioni e recuperano terreno se la decisione non si concretizza in termini rapidi. I processi decisionali, tra cui quello d’acquisto, agiscono quindi a diversi livelli del cervello del cliente e lo indirizzano nelle scelte.
Oggi grazie all’utilizzo delle moderne tecniche di misurazione biometrica possiamo studiare quasi in tempo reale le migliaia reazioni cognitive ed emozionali profonde dei clienti che si sviluppano durante l’interazione con il prodotto e durante la Shopping Experience, mentre solo una piccola parte di ciò che avviene a livello non-conscio rimane nella memoria consapevole del cliente ed è quindi esprimibile. L’insieme di tali tecnologie abbinate ad adeguate metodologie di analisi e di modelli interpretativi prende il nome di neuromarketing, ovvero la nuova disciplina che studia cosa provano e come decidono i clienti, e che può essere considerata come l’incontro tra le neuroscienze e il #marketing. Da quasi venti anni, il neuromarketing studia il cervello delle persone per capire meglio come funziona e quali processi influenzano i loro comportamenti e le loro scelte. Si tratta di un ambito di ricerche in rapida evoluzione, grazie alle scoperte quotidiane delle neuroscienze. Tale accelerazione è dovuta principalmente alla disponibilità di tecnologie di ricerca di derivazione biomedica quali l’elettroencelografia (Eeg) che permette di visualizzare con dei sensori le lievi variazioni elettriche prodotte dal cervello in seguito ad una stimolazione esterna (ma anche interna), la risonanza magnetica funzionale (fMRI) che misura l’aumento del livello di ossigeno nel flusso sanguigno cerebrale e segnala le attività in aree specifiche, e l’eyetracking che consente di tracciare i movimenti degli occhi su una qualunque superficie visiva (ad esempio,. la vetrina di un negozio oppure uno scaffale di un supermarcato).
Per questo il neuromarketing è considerato a ragione uno dei dieci modelli di innovazione che cambieranno il modo di fare business nei prossimi anni, anche nel retail.