Oggi, la sostenibilità si presenta come una parola chiave che va oltre la mera tutela ambientale, abbracciando dimensioni sociali ed economiche. Definita come “il raggiungimento dei bisogni della società presente che non impedisce alle generazioni future di raggiungere i propri,” la sostenibilità incorpora ora la prospettiva della “triple bottom line”.
Il “triple bottom line”
Questo concetto ampliato, che mette l’accento su tre tipi di sostenibilità, invece di concentrarsi solamente su uno, riflette la consapevolezza crescente che il benessere sociale e economico sono intrinsecamente collegati alla salute del nostro pianeta. Ma non è solo una questione di consapevolezza; è un passo avanti nella percezione della sostenibilità come un dovere collettivo. In questo ambito, la Gen Z e i Millennials sono in prima linea, con rispettivamente il 67% e il 61% che affermano di aver discusso recentemente l’importanza delle tematiche ambientali nelle ultime settimane. Le aziende, in risposta a questa crescente consapevolezza, talvolta si impegnano in pratiche di Greenwashing, presentando un’immagine eco-friendly che può nascondere realtà meno virtuose. Un esempio emblematico è il caso di Volkswagen, quando nel 2015, la facciata ecologica è stata smascherata come ingannevole durante il caso Dieselgate, facendo venire alla luce un consumo di CO2 non dichiarato. D’altro canto, aziende come Patagonia hanno abbracciato la sostenibilità con la campagna “Don’t Buy This Jacket,” attirando consumatori, soprattutto i Millennials, una generazione disposta a spendere di più, e persino a comprare esclusivamente da aziende che abbracciano i loro valori.
L’attivismo generazionale
Mentre Millennials e #GenZ sono le generazioni che tengono più a cuore la sostenibilità, si approcciano all’attivismo in maniera distinta: i Millennials prediligono decisioni d’acquisto etiche; la Gen Z adotta approcci più radicali, sfruttando il boicottaggio e l’attivismo digitale come strumenti di espressione. Questa generazione, cresciuta nell’era digitale, utilizza i social media e le piattaforme online anche per esprimere il proprio dissenso e guidare cambiamenti sociali. La generazione Z ha ridefinito il modo di comunicare attraverso l’online, creando un ambiente dove le opinioni “rimbalzano” e si modificano continuamente all’interno di piattaforme digitali: questo fenomeno è definito come Echo Chamber.
Se da un lato le camere dell’eco contribuiscono a un maggiore coinvolgimento e consapevolezza, dall’altro possono creare nicchie cross-sector sorprendenti: un esempio tangibile si trova nell’interconnessione tra temi come la sostenibilità sociale e il veganesimo. In queste comunità online, è ora comune sentire persone associare il veganesimo al femminismo, sottolineando il parallelismo nella tutela di “minoranze” da una “maggioranza” auto-imposta che si crede superiore. Una connessione alquanto insolita, impensabile fino a poco tempo fa, che evidenzia la capacità della generazione Z di modificare e contaminare le opinioni in maniera dinamica attraverso le piattaforme digitali. Dobbiamo però tenere conto che anche l’attivismo digitale non è privo di critiche. Se da un lato offre una voce amplificata, dall’altro può sembrare superficiale o insufficiente nell’implementare cambiamenti tangibili. La sfida per la gen Z sta proprio nel tradurre l’energia digitale in azioni concrete, trasformando la protesta virtuale in cambiamenti reali.
L’attivismo generazionale sta ridefinendo il modo in cui concepiamo e perseguiamo la sostenibilità. Dall’etica all’azione, dall’attenzione ambientale all’attenzione sociale ed economica, questa nuova era richiede un impegno collettivo per garantire un futuro sostenibile per tutti.
Foto: quokkabottles da Unsplash